venerdì 22 agosto 2014

Manhattan Projects. La scienza cattiva di Jonathan Hickman








“L’immaginazione è più importante della conoscenza, in quanto la conoscenza è limitata, mentre l’immaginazione comprende il mondo intero, stimolando il progresso, facendo nascere l’evoluzione”
Non si può innovare senza immaginazione. Ridotto all’osso è questo il significato delle parole di Albert Einstein. Per rompere un paradigma, rivoluzionare un settore, aprire nuove possibilità, la conoscenza è sicuramente importante, ma non basta. Ci vuole qualcosa in più. Bisogna riuscire ad estraniarsi dagli schemi di pensiero, fare sforzo di astrazione, partire dalla realtà ed arrivare ad un'altra dimensione. Dimorarci per un po’, farsi stupire, giocare con le associazioni e poi tornare indietro.
“Tutto quello che puoi immaginare è vero” diceva Picasso ed è proprio qui che sta tutta la questione: trovare un modo per tradurre l’intuizione, per incarnare in qualche traccia materiale quell’infinito campo aperto.
Ci vuole audacia per fare tutto questo. Uscire dai sentieri battuti non è facile e la follia, il paradosso e il disorientamento sembrano sempre dietro l’angolo, pronti a smorzare e confondere lo slancio inziale. Ci sono persone che, nonostante questi rischi, si lasciano andare in modo estremo al gioco immaginativo, destreggiandosi in quel marasma di opportunità e riuscendo a produrre qualcosa di concreto, che non può non lasciarci bocca aperta. Jonathan Hickman (1976), scrittore e fumettista statunitense, è uno di questi personaggi.
Abbiamo parlato di audacia e The Manhattan Projects, l’ultima opera di Hickman approdata in Italia e ormai arrivata al suo secondo volume edito da Panini, ne ha da vendere. Questa volta l’autore statunitense, come già aveva fatto nel suo precedente Pax Romana, decide di reinterpretare in chiave fantascientifica un fatto storico tracciando le linee di una intelligente e mirabolante ucronia.
L’evento in questione è il celeberrimo progetto Manhattan, dedicato allo sviluppo e alla ricerca di armamenti nucleari, avviato nel 1939 da Franklin Delano Roosevelt. Come la storia ci insegna, la questione della fissione nucleare utilizzabile per scopi bellici fu portata all’attenzione del presidente statunitense da Albert Einstein, che sollecitava gli Stati Uniti a sviluppare rapidamente un programma di armamento atomico in risposta alla possibilità concreta che i tedeschi lo stessero già facendo. Roosevelt decide di accettare il suggerimento e così parte il progetto Manhattan, affidato alla direzione scientifica di Robert Oppenheimer, al coordinamento gestionale-amministrativo del generale Leslie Groves e dove saranno coinvolti alcuni dei più eminenti fisici dell’epoca, tra cui Enrico Fermi e Richard Feynman.



Partendo da uno dei progetti scientifici più importanti e influenti del secolo scorso, Hickman riscrive la reale natura del progetto stesso, rendendo la storia che conosciamo solo una facciata per qualcosa di più grande, complesso e spaventoso. Dietro il programma di ricerca per la creazione e i lancio della bomba atomica si nascondono infatti una serie di esperimenti scientifici top-secret che vanno a toccare vari temi cari al genere fantascientifico: dalla creazione di un intelligenza artificiale alla scoperta di portali dimensionali, dai viaggi nel tempo all’incontro con popolazioni extraterrestri. In questo universo fatto di situazioni ai limiti dell’impossibile, di strane invenzioni, di immensi laboratori segreti, Hickman approfondisce la psicologia dei suoi personaggi portandoci, passo dopo passo, a conoscere la sua personalissima versione di alcune delle menti più geniali del novecento.
Così ci troviamo di fronte ad un Einstein completamente inedito, intento a scrutare un monolite di Kubrickiana memoria nell’attesa di chissà quale ispirazione, ad un giovane e aitante Feynman creatore di wormhole e, soprattutto, il più inquietante Oppenheimer che potremmo immaginare. Quest’ultimo risulta infatti essere il personaggio più interessante e complesso presente nei primi due volumi.
Il direttore scientifico del progetto viene presentato, in partenza, come una sorta di Dottor Jekill in cui convivono le anime contrastanti di due gemelli: Robert “titano emergente del mondo scientifico” e Joseph “titano emergente del mondo del genocidio”. Nel corso dell’opera, la figura di Oppenheimer si farà sempre più stratificata, diventando quasi un mondo a se, fatto di infinite personalità, costruzioni e pensieri mentali che si materializzeranno graficamente all’interno degli spazi, vere e proprie manifestazioni concrete del conflittuale sottobosco all’interno dello scienziato.


Accanto al mondo della scienza, Hickman ci offre anche una altrettanto bizzarra rappresentazione del potere politico e militare. In questa sezione, uno dei personaggi che spiccano certamente di più è  il presidente Harry Truman, dipinto come un folle massone affetto da manie di grandezza e caratterizzato da uno stile di vita che tocca l’edonismo e le perversioni più sfrenate. Truman, tuttavia, non è l’unico politico che Hickman si prende la libertà di reinventare. Memorabile, infatti, è anche la sua versione del defunto Franklin Delano Roosevelt, rappresentato come un supergenio computazionale che, con il suo faccione occhialuto, appare in tutti gli schermi possibili. Una sorta di cyberpresidente sciolto nella rete informatica.
Già solamente la caratterizzazione psicologica dei personaggi basterebbe a rendere Manhattan Projects un’opera dotata di estrema originalità, ma la dose di audacia aumenta notevolmente con la capacità di Hickman di elargire trovate narrative del tutto inaspettate, di spiazzare continuamente il lettore creando spesso un’ atmosfera ai limiti del grottesco e stordendolo con l’estrema molteplicità delle direzioni verso cui la trama potrebbe incanalarsi. In Manhattan Projects, insomma, non è davvero mai come sembra.
La scienza ci viene rappresentata come un mondo tracotante di aspirazioni e volontà di potenza, il vero potere forte in grado di opporsi ai poteri forti della politica, in grado di creare un doppio mondo sconosciuto alle masse, di governare il presente e decidere il futuro di un intero pianeta. La scienza di Hickman è “cattiva” e lo è perché è estremamente potente, perché è ricerca teorica oscura e incomprensibile, perché è applicazione tecnica terribile e devastante. In Manhattan Projects la bomba atomica sembra la minore delle paure, la più piccola delle armi che la scienza potrebbe mettere a punto. Perciò si respira costantemente un’aria che tende all’espansione delle possibilità di distruzione e controllo, come se Hickman volesse mettere su carta tutte le paranoie e i timori legati al binomio scienza-tecnica declinandole anche nei loro aspetti più mirabolanti, futuristici e impensabili.

Passando ora all’aspetto grafico, si può dire che lo stile di Nick Pitarra, il disegnatore di Manhattan Projects, si adatta perfettamente allo script di Hickman. Con il suo tratto spigoloso e a volte sgraziato, riesce ad esprimere tutta l’assurdità delle situazioni partorite dalla mente dall’autore, caratterizzando al meglio i personaggi attraverso le mimiche facciali e adattandosi in modo efficace sia nei frangenti più riflessivi e di dialogo sia in quelli più concitati, dove l’azione e l’estetica splatter la fanno da padrone.
Ad esaltare il tratto di Pitarra ci sono sicuramente i colori acidi di Jordie Bellaire, che raggiungono la loro massima efficacia nella caratterizzazione di Oppenheimer e della sua schizofrenia, alternando tonalità di rosso per Joseph e tonalità di blu per Robert.


Per concludere, posso dire che non è mai facile trovare coerenza mischiando fatti realmente accaduti ad elementi del tutto immaginari. In operazioni di questo tipo si rischia spesso di sfociare nel ridicolo e in un assurdo che dopo poco sembra perdere la sua ragione di essere. Hickman riesce invece a tracciare le linee di un’opera coraggiosa e intelligente, ricca di spunti e metafore, stratificatissima dal punto di vista concettuale, ma anche scorrevole, dinamica e divertente. Inoltre, pur rappresentando un mondo al limite dell’inverosimile, dove gli alieni ambiscono alla tecnologia umana, dove i giapponesi combattono con eserciti di robot samurai, dove si creano dimensioni parallele, l’autore riesce a regalarci dei personaggi che più umani non si potrebbe, ricchi di contraddizioni, paure e pensieri mostruosi, proprio come la scienza, l’unica fede e lo scopo ultimo delle loro esistenze.