lunedì 29 settembre 2014

Corpicino


Un’analisi acuta e parodica sulla cinica speculazione mediatica di un fatto di cronaca nera.






Tuono Pettinato è certamente uno dei fumettisti nazionali che più apprezzo. Tuono è uno dei rappresentanti degli ormai celebri Fratelli del cielo (ex Superamici), un’associazione di fumettisti molto diversi tra loro, sia per stile grafico che narrativo, ma tutti accomunati da una grande consapevolezza della complessità e della versatilità del medium fumettistico.

Tra i Fratelli del cielo ( Dr. Pira, Ratigher, Maicol e Mirco), Tuono Pettinato è  l’elemento forse più erudito, capace di parlare con ironia e profondità di personalità e tematiche di grande importanza. A questo proposito, si possono ricordare le sue opere biografiche  dedicate a Garibaldi, Galileo e Alan Turing, dove l’autore ha affinato le sue doti narrative all’interno di un genere ben definito. Un altro elemento che sicuramente caratterizza lo stile e i temi affrontati da Tuono è la grande attenzione per la cultura popolare e la capacità di mischiare riferimenti  e citazioni appartenenti ad  aree speculative molto diverse fra loro. Di questa capacità l’autore da prova continuamente attraverso il suo lavoro vignettistico su Fumettologica e in questo 2014, con la sua graphic  novel  “Nevermind”, ci ha parlato di una delle icone più importanti degli anni 90’ come Kurt Cobain  attraverso un ritratto così colto, commovente e delicato da farne, a mio parere, una delle opere fumettistiche italiane più interessanti dell’anno corrente.

Come si può facilmente comprendere dalla breve introduzione in cui esprimo la mia stima per Tuono Pettinato, in questo articolo andrò proprio a parlare di una sua opera, forse di quella che in assoluto mi ha colpito di più all’interno della sua produzione. Mi sto riferendo a “Corpicino”, graphic novel pubblicata nel 2013 dalla GRRRzetic  con un’edizione davvero pregevole.

Il “Corpicino” a cui allude il titolo è quello del piccolo Marcellino Diotisalvi, un bambino trovato assassinato in un bosco. Il caso, come da copione, diventa un pietoso evento mediatico, acquisendo immediatamente  risonanza all’interno dell’opinione pubblica e nell’ambito delle testate giornalistiche subito pronte a seguire, per filo e per segno, lo svolgersi delle indagini. Proprio a questo proposito il lettore fa presto la conoscenza di Martinelli, giovane reporter di cronaca nera, intenzionato più che mai  a seguire con piglio oggettivo la vicenda, nel nome della verità e dell’obbligo dell’informazione imparziale che dovrebbe caratterizzare il suo mestiere. Tuttavia, nonostante i sinceri sforzi del giornalista, i suoi superiori lo accusano continuamente di non essere abbastanza truce e sensazionalista come il pubblico desidererebbe. Martinelli si trova così in un dilemma etico e professionale, sbattendo la faccia contro le pressanti richieste dei suoi datori di lavoro e scontrandosi continuamente con i suoi valori morali. A confortare il giovane Martinelli ci saranno, tuttavia, i preziosi consigli del professor Giraldi, un anziano criminologo che, attraverso le sue riflessioni, farà luce sull’intrinseco legame tra violenza e sacralità, portando il giornalista ad interrogarsi sulla natura rituale dell’omicidio e sull’aura sacrale che circonda tanto la vittima quanto la figura del colpevole. Chi avrà ucciso il piccolo Marcellino? Come si evolverà il caso? Quale saranno le reazioni della stampa e dell’opinione pubblica?





Tuono Pettinato con “Corpicino” riflette sulla cinica e spietata speculazione dei media sui fatti di cronaca nera. L’autore espone con estrema lucidità i meccanismi mediatici che alimentano la morbosità collettiva per la tragedia, trasformandola in una sorta di soap opera televisiva e dando il via a comportamenti voyeouristico- consumistici, come il cosiddetto turismo dell’orrore. Basta pensare alle centinaia di persone che si sono recate a vedere il relitto della Concordia o a quelle che assediano i perimetri delle “case dell’orrore” in occasione del “massacro di turno” per renderci conto dell’importanza del fenomeno.

L’argomento affrontato dall’autore, come palesemente intuibile, non è di certo dei più facili da trattare, soprattutto mantenendo costantemente una tagliente ironia senza perdere di vista la profondità e la complessità socio- culturale del problema. Tuono, tuttavia, riesce pienamente in questo intento .  Sono molti gli elementi, sia contenutistico sia formali, che contribuiscono a dar vita ad un mix intelligentissimo e vincente. Una delle prime cose che mi viene da citare è l’astutissimo accorgimento stilistico che l’autore adotta per da sfogo alla sua inconfondibile vena parodistica: per tutto il racconto, nella parte bassa delle pagine, scorre una banda breaking news in stile notiziario. In questa striscia Tuono può sbizzarrirsi in una gran quantità di battute al vetriolo sulle assurdità della cronaca e dell’informazione. Con questo espediente l’autore aggiunge un elemento di critica satirica all’interno del volume, dando vari spunti, ma senza appesantire o sviare dal tema principale dell’opera. Tuttavia, l’ironia Tuonesca, non è certamente relegata alla sola striscia “stile Tg”, ma, al contrario, si scaglia violenta e implacabile contro tutti gli elementi del racconto. Viene  criticata l’ipocrisia dei perbenisti ad ogni costo, la sterile elucubrazione degli intellettuali da Talk Show, il sensazionalismo ingenuo della folla, il fanatismo idolatra, fino alle manie complottiste che pervadono sempre ogni fatto di cronaca.



Oltre alla gestione della carica ironica, altro elemento sicuramente apprezzabile è la scelta di affidare la riflessione teorica alla figura del Prof Giraldi evitando, in questo modo, la pesantezza di una spiegazione fuori dalla narrazione, ma non mancando di approfondire gli elementi  antropologici, sociologici e filosofici legati all’omicidio come rito sociale, in cui vittima sacrificale e carnefice acquisiscono un’aura sacrale indispensabile per la coesione collettiva.

La vittima sacrificale è necessaria alla società, il suo sacrificio assume un valore totemico in cui essa si riconosce. Serve sempre un capro espiatorio in cui riversare tutte le tensioni comuni ed è proprio questa l’utilità sociale dell’omicidio. Nell’antichità la vittima sacrificale era il mostro, ciò che rappresentava l’incarnazione di tutti i mali e perciò, di comune accordo, andava ucciso per redimere la comunità. Con il cristianesimo, invece, la vittima si è fatta innocente. Essa è una creatura pura che, attraverso la sua morte ingiusta, assume su di se i peccati di un’intera comunità.

 Il caso di cronaca nera spesso non ha caratteristiche molto diverse da questi antichi rituali. In “Corpicino”, Marcellino Diotisalvi rappresenta la vittima innocente, il bambino che viene barbaramente ucciso . Come conseguenza di ciò, la comunità non vede l’ora di alzarlo a qualità di santo martire e, corrispettivamente, riversare tutta la sua ira sul colpevole dell’omicidio (o sul presunto tale).

Nell’omicidio tutta la tensione e la violenza che serpeggia tra i membri di una società si rivolge in un fatto che da solo è in grado di convogliarle tutte al suo interno, liberando, almeno per un poco, le persone dai propri istinti e dalle proprie paure. Una volta che il rito dell’omicidio si è compiuto la comunità è libera di disporre dei suoi due artefici a suo piacimento. L’omicida diventa il mostro da ripudiare, la vittima il sacro da venerare. Non c’è Gesù senza Giuda, non c’è vittima senza carnefice.




Tra i pregi maggiori di quest’opera di Tuono Pettinato c’è proprio la sua capacità di analizzare in profondità il fatto di cronaca nera, trattandolo alla stregua di un polo ambivalente in cui si attorcigliano istanze diacroniche legate al suo carattere ancestrale-rituale e sincroniche, più legate  all’assetto mediatico presente.

In conclusione, “Corpicino” è un’opera preziosa, ironica e delicata, ma anche spietata e dotata di una carica critica davvero straordinaria. Alla fine della lettura sembra davvero impossibile non stare fermi ad interrogarsi sulla complessità dei meccanismi sociali che viviamo ogni giorno, sull’assurdità di una pornografia del dolore che, tuttavia, pare essere così necessaria alla stessa coesione della comunità.
 

giovedì 4 settembre 2014

I favolosi Killjoys





Fino a qualche tempo fa, se pensavo a Gerard Way, l’unica cosa che mi veniva in mente era il suo ruolo di fondatore e cantante dei My Chemical Romance. Premetto di non essere mai stato un fan dei MCR e di non averli mai ascoltati con particolare interesse. Dal punto di vista musicale, dunque,  credo che non ci sarebbero stati troppi motivi per avvicinarmi alla figura di Way e credo che questo personaggio, nella sua veste di musicista, per me sarebbe continuato ad essere una presenza del tutto anonima. Ciò che invece mi porta a parlare di lui in questo articolo è la sua attività di fumettista.
Gerard Way, infatti, oltre ad essere un grande appassionato di fumetti, ha un passato come editor fumettistico e nel 2008, lavorando come sceneggiatore a fianco del disegnatore  brasiliano Grabriel Bà, si è aggiudicato un Eisner Award con la sua opera prima intitolata “The Umbrella Academy”. In attesa di recuperare proprio quel volume, sono stato attratto da una delle ultime proposte da libreria della Panini Comics, dove tra gli autori capeggia proprio lo stesso Way. Sto parlando de “I favolosi Killjoys- giorni pericolosi” scritto a quattro mani da Gerard Way e Shaun Simon e disegnato da Becky Cloonan.
La storia ruota tutta intorno ad un gruppo di ribelli, i Killjoys , che in un passato non troppo lontano dal presente in cui è ambientata la vicenda, combatterono contro la tirannia della mega corporazione  Better Living Industries, perdendo tutti la vita. Se i Killjoys veri e propri perirono tutti nel mezzo della sanguinosa lotta contro la B.L.I., chi si salvò fu una misteriosa ragazzina che, da qualche tempo, si era unita ai ribelli e godeva della speciale protezione di questi ultimi. Dopo il sacrificio dei Killjoys , i loro seguaci ed epigoni vivono nel deserto ai margini della metropoli di Battery city, dove le B.L.I. derubano sistematicamente i cittadini della loro individualità attraverso un regime di violenta ed estrema repressione.
Ora i venti di ribellione stanno per alzarsi di nuovo e lo scontro tra gli abitanti del deserto e le milizie di Battery City sembra essere sempre più imminente. Quale sarà il ruolo della nostra ragazzina ormai cresciuta? Perché i Killjoys tenevano così tanto alla sua protezione?


Way e Simon, calandosi a pieno nella ormai ricca (e consumata) tradizione delle distopie plausibili, ci presentano un futuro non troppo lontano in cui la paura e l’annullamento di ogni pulsione individuale hanno preso il posto della libertà. Come in molte opere letterarie o cinematografiche che costruiscono scenari simili, anche qui la speranza passa per i progetti di un gruppo di emarginati, che trovano proprio nell’accettazione di una precarietà randagia e clandestina, insieme con il rifiuto della sicurezza e della sottomissione al giogo totalitario, le condizioni adatte per una possibile ribellione.
Ne “I favolosi Killjoys” si ritrovano molti degli stilemi tipici della distopia sull’orlo di un cambiamento positivo. Troviamo, infatti, il leader carismatico dei nuovi ribelli, Val Velocity, spinto dalla voglia di vendicare i suoi predecessori, già eletti a santi martiri della causa della libertà, che radunato attorno a se un gruppetto di nuovi crociati, più o meno devoti alla missione, sprona gli emarginati a sollevarsi con la violenza contro il potere oppressore. Troviamo Cola, l’ex combattente  dallo sguardo troppo limpido e saggio per abbandonarsi all’entusiasmo ingenuo dei nuovi giovani paladini della libertà. Troviamo DR.S, una sorta di voce narrante, in bilico tra passato, presente e futuro, che attraverso la radio accompagna tutta la vicenda con frasi dal tono metafisico, che sembrano proprio predire quello che sarà una cambiamento epocale. Infine c’è la Ragazza, l’elemento misterioso  e profetico, quello che in Matrix è Neo, ovvero quella presenza necessaria perché il cambiamento si compi e che, nonostante tutti gli sforzi degli altri attori in gioco, sarà l’unica a poter decidere le sorti della popolazione.



Come ho iniziato ad accennare , ne “I Favolosi Killjoys”, a mio modesto parere,  non c’è nulla di particolarmente originale rispetto al genere e alla tematiche affrontate, tuttavia l’opera si configura da subito come un progetto ambizioso, ricco di spunti, contaminazioni, personaggi e filoni di lettura. Già dall’inizio il lettore viene quindi sballottato nei vari scenari della vicenda, gli vengono fatti seguire poco a poco diversi personaggi e tutto acquista l’aria di un puzzle che aspetta solo il momento di essere ricomposto con una grande rimpatriata finale. Si aspetta dunque l’evento culmine della rivolta, ciò che porterà ad una sconfitta delle forze del cambiamento o alla distruzione totale dell’ordine vigente. Il problema principale di quest’ultima opera di Way sta proprio nel modo in cui si sviluppa questa struttura narrativa. L’opera, infatti, risulta essere spesso confusa, abbozzata, piena zeppa di stimoli, ma spesso superficiali e poco approfonditi. Se nel mezzo della lettura siamo continuamente in attesa del colpo di coda che dia spessore e stratificazione alla sceneggiatura, alla fine tutto sembra risolversi troppo sbrigativamente nonostante la quantità di parole spese. 


Le numerosi frasi ad effetto, che risentono dell’ermeticità poetica del linguaggio del testo musicale, se sono spesso funzionali a creare un’atmosfera profetico-apocalittica alla Starnge Days della Bigelow ( per fare un paragone alto), dall’altra parte non riescono, così come i dialoghi stessi, a dare poliedricità psicologica ai personaggi, che finiscono per essere delle macchiette appiattite. Insomma Way e Simon, a mio parere, non riescono a gestire al meglio il grande potenziale iniziale e alla fine, nonostante si senta la volontà di creare un’opera originale e complessa, si ha un risultato che assomiglia più ad un occasione mancata e ad un ambizione non soddisfatta.
Se dal punto di vista della sceneggiatura Killjoys non mi ha propriamente convinto, posso dire che dal punto di vista visivo, invece, è un lavoro davvero interessante. I disegni di Becky Cloonan sono veramente di grande impatto, dotati di un tratto deciso e marcato, ma molto dinamico. Lo stile della Cloonan partecipa sicuramente in molti frangenti della lezione sempre viva della pop art e, per certi versi, soprattutto nella delineazione dei personaggi e dei loro look, strizza l’occhio anche alla tradizione fumettistica e d’animazione orientale. Le tavole della disegnatrice già stupende, ricche di dettagli e ottimamente costruite, sono impreziosite dai colori esplosivi e brillanti di Dan Jackson, che completano l’opera per un risultato percettivo impressionante.


Per concludere, “I favolosi Killjoys-giorni pericolosi”, è un’opera che non convince pienamente nella struttura narrativa e nello sviluppo delle tante idee messe in campo dalla coppia Way-Simon. L’ambiziosità di una trama che si sviluppa su plurimi piani narrativi non è gestita al meglio, così come la tendenza ad una certa trasgressività, attraverso l’introduzione di personaggi bizzarri e situazioni grottesche, finisce per cadere spesso negli stereotipi. Le differenze con opere che si affidano con efficacia a questi tipi di trovate, vedi l’ottimo Saga di Vaughan, mi sembrano evidenti proprio nella diversa capacità di approfondirle e motivarle all’interno dell’intero progetto. Tutto questo nei Killjoys sembra un po’ posticcio e appiccicato. Per quanto riguarda l’aspetto grafico, invece, siamo di fronte ad un’opera di tutto rispetto, basta una sfogliata in libreria per venire folgorati dal tratto della Cloonan e dai colori prorompenti di Jackson.

Rinnovare le scuole per il futuro

Un programma di sviluppo e riqualificazione dell'edilizia scolastica che riconsidera la posizione e l'importanza della scuola non solo come centro formativo, ma punto di riferimento per la socialità all'interno del tessuto cittadino.


Arriva ormai alla terza fase di attuazione il programma di riqualificazione "Rinnovare le scuole per il futuro" attuato in Portogallo a partire dal 2007. Lo scopo del programma è quello di rinnovare gli edifici scolastici al fine di trasformarli in centri comunitari, caratterizzati in quanto tali, funzionali ed in relazione con il territorio in cui sono collocati. Il progetto si muove quindi attraverso la riqualifica di poli esistenti e la creazioni di nuovi complessi.

Per capire meglio da dove nasce questa esigenza bisogna fare un passo indietro. Dal 1963 in avanti l'edilizia scolastica prese a modello il caso britannico, adattandolo alle esigenze portoghesi specifiche. Si scelse quindi la prefabbricazione leggera e l'edificio-tipo, questo permetteva costi minori e quindi la creazione di un maggior numero di strutture. Questo programma ha accompagnato la lenta corsa verso la democrazia, conclusasi il 25 aprile 1974, con la Rivoluzione dei garofani. Gli edifici del Nuovo Stato invece assunsero un carattere formale, monumentale e gerarchico all'interno del tessuto urbano. 
Gli edifici scolastici frutto di un progetto-tipo generale, invece non impattavano minimamente sul territorio circostante, risultavano uguali in tutto il Paese e quindi non dialogavano se non in minima parte con il tessuto urbano. Dopo il 25 aprile la tipologia a padiglione, seppur mancasse della forza e della retorica tipica delle scuole del Regime, divenne il principale sistema costruttivo per l'edilizia scolastica. Anche durante gli anni '70 e '80 rimase il paradigma vigente quando l'aumento dell'obbligo di istruzione portò ad un necessario incremento degli edifici scolastici. 

Queste premesse portano ad individuare come a distanza di tempo gli edifici a padiglione non abbiano saputo diventare un punto centrale all'interno delle comunità locali, questo aggiunto alla scarsa qualità costruttiva le ha portate a un rapido deterioramento. Questa situazione quindi ha costretto un ripensamento generale dell'edilizia scolastica Portoghese, che riprende come elemento centrale l'impatto e la relazione tra edificio e quartiere.
Parque Escolar, società pubblica promulgatrice e sviluppatrice di Rinnovare le scuole per il futuro, si pone quindi come sfida proprio la dimensione pubblica di quest spazio.
I postulati su cui si basa la richiesta fatta ai progettisti coinvolti sono: lo sviluppo di una progettazione opposta a quella della scuola-tipo e il learning street. Essenzialmente quindi ogni scuola deve costituire un caso a parte e peculiare e porsi come luogo di incontro e formazione per la cittadinanza.

Le vittorie di questo programma però non sono solo a parole. Nel 2013 il progetto di Pedro Domingos per il Polo Scolastico di Server do Vouga è stato insignito del Premio FAD, uno dei più prestigiosi della penisola iberica.
Il progetto è frutto di un attento recupero ed ampliamento della struttura esistente, 4 padiglioni a pianta quadrata ed palazzetto dello sport. Seguendo il programma Parque Escolar, l'architetto ha riqualificato le 5 strutture esistente ed ha aggiunto una serie di spazi didattici mancanti, ciò che risulta peculiare in questo specifico lavoro è la creazione di una vera e propria cittadella della cultura. Un campus capace di accogliere le scuole elementari e medie, oltre che gli impianti sportivi. 



In un contesto rurale come quello di Server do Vouga, un centro polifunzionale, dotato di spazi ricreativi, piazze e strutture educative diventa un vero e proprio centro attrattivo e di ritrovo per tutta la cittadinanza. Rappresenta il raggiungimento di una concezione democratica di istruzione, in opposizione con l'edilizia d regime. Particolare attenzione è stata rivolta dall'architetto anche alle esigenze di accessibilità. Rampe e camminamenti prendono vita e collegano i vari edifici e le varie aree. 




In soli sette anni quindi il progetto di Parque Escolar ha saputo rispondere in modo efficace alle esigenze educative e sociali richieste intervenendo su centinaia di scuole in condizioni disagiate. I progetti inoltre, come si vede dall'esempio citato, non trascurano la qualità architettonica e le scelte materiche, oltre al fatto che pongono una forte attenzione alle esigenze didattiche ed educative.

Un programma di questo tipo, che si pone come macro progetto declinabile nelle singole esigenze, potrebbe essere praticamente esportato ovunque proprio per la sua attenzione alla localizzazione ed al sito di progetto. Anche in Italia dove attualmente le problematiche in relazione agli edifici scolastici ed in generale al sistema scolastico sono così attuali. 
Si tratta di rivalutare l'edificio scolastico e in generale l'istituto scolastico nella città e nell'immaginario collettivo. Sdoganarsi in un certo senso dalle limitazioni stesse che si pongono con la definizione di scuola. Creare luoghi non solo per studenti e professori, ma che fungano da incontro generazionale, punti di ritrovo, di scambio, dove sia piacevole passare il tempo libero e non solo dove si è costretti ad andare.