sabato 22 giugno 2013

Blankets

Blankets: una storia di ossessione e liberazione



Era un martedì, un pò prima delle otto di mattina, quando finii di leggere Blankets. Iniziai a leggere questo volumone da quasi 600 pagine la sera prima e, al risveglio, il mio primo pensiero fu quello di arrivare sul treno in direzione Milano, mettermi comodo e finirne la lettura.
Ero seduto vicino al finestrino, nella seconda classe di un regionale veloce, nelle mie orecchie suonava "The heart is not a cold death place" e fuori il sole inondava i campi della già afosa pianura padana, mentre il calore riflesso dal vetro mi solleticava le braccia. Esistevo solo io, la musica e quel tripudio di immagine meravigliose che le mie mani quasi tremanti facevano correre sotto i polpastrelli.
La prima cosa che pensai quando chiusi il libro e appoggiai attonito la fronte al finestrino fu: "questa è senz'altro una delle cose più belle che ho mai letto". La seconda invece fu: "se mai decidessi di far scrivere a qualcuno, che non sia io, una biografia illustrata delle mia non troppo eccitante vita chiamerei Craig Thompson".
Blankets è un'opera che ti scalda il cuore, fino quasi a farti male.
Nel raccontare la sua storia l'autore tesse una tela di ricordi e immagini che non ti da scampo, ti costringe ad immedesimarti e a partecipare con tutta la tua carica emotiva, come se quel racconto che si dispiega inesorabile davanti ai nostri occhi uscisse immediatamente dalla dimensione personale per assumere una portata esistenziale universale.
Di Blankets si potrebbero dire un mucchio di cose, infatti è ormai riconosciuto da critica e pubblico come una delle pietre miliari della graphic novel e del romanzo di formazione e la qualità del prodotto non è di certo in discussione. Non posso quindi dire che l'effetto che mi ha suscitato è stato del tutto sorprendente  Mi aspettavo di avere a che fare con un capolavoro e le attese non sono state contraddette  Quello che invece non mi aspettavo è il fatto che mi entrasse dentro così tanto e così violentemente.
La mia vita è stata spesso caratterizzata da ossessioni di diverso tipo. In generale, ho sempre avuto una certa maniacale tendenza alla ricerca di una verità non data, alla presa di coscienza ( se mai sia possibile) di ciò che effettivamente sono (ammesso che si possa parlare almeno di un numero finito XD) e al tentativo di trovare e alimentare qualcosa che possa dare un senso all'esistenza dove riporre tutto quel "valore" che dovrebbe esserci, ma sembra perdersi o, addirittura, non esserci in tanti sinceri tentativi di azione e produzione della nostra esistenza. In Blankets ho trovato dispiegate queste stesse tensioni, questa spinta ad una liberazione e redenzione che sembra sempre così lontana, come una luce alla fine di una buia e contorta caverna.
Fin dalle prime pagine, Craig, vera trasposizione grafica dell'autore, sembra essere afflitto da un senso di costrizione e ossessione. Il protagonista pare obbligato ad andare costantemente oltre la realtà per trovare un senso di pace e libertà. E' continuamente in fuga da se stesso e dal mondo.
Questa prigionia dell'anima è ben esemplificata dagli episodi di vita quotidiana che l'autore ci riporta, fin dai primi ricordi d'infanzia.
La scomodità del letto diviso con il fratellino Phil e lo sgabuzzino dove entrambi, a turno, venivano rinchiusi in punizione dal padre, non sono solo due spiacevoli ricordi della fanciullezza, ma sono alcuni tra i primi simboli di un senso di oppressione che, pur cambiando nelle sue forme e incarnazioni, accompagnerà Craig per tutta la narrazione.
Già da bambino l'autore/protagonista è continuamente in ricerca di modi per sfuggire dalla realtà, primo fra tutti il sonno. Il rifugio nel sogno, dimensione onirica e fluttuante, contrapposta alla durezza e intransigenza della reale (fin dalle prime battute del romanzo si può percepire il fondamentalismo etico-religioso della famiglia di Craig), è una delle prime strade intraprese da Craig per estrinsecarsi dal suo corpo e farsi più leggero. L'altro mezzo usato è sicuramente la fantasia. Il bambino fantastica spesso sui modi per scappare da casa e trovarsi in luoghi lontani."Da piccolo ero certo che quello fosse il posto peggiore in cui vivere e che DOVEVA esserci qualcosa di meglio", questa frase e il suo "doveva", esprimono ottimamente la portata necessaria della ricerca di qualcosa di diverso da parte del protagonista. Il sogno viene rappresentato come una via di fuga "più facile" rispetto al gioco di fantasia che costringe a fare uno sforzo attivo per estraniarsi dal mondo, invece di subire passivamente il carosello di immagini come nella dimensione notturna.
Un altro elemento che fa subito capolino nella vicenda e si inserisce a pieno titolo nello stesso filone tematico della liberazione dalla costrizione del reale, così come il sogno e la fantasia, è la passione per il disegno.
Per Craig è un modo per creare mondi nuovi dove rifugiarsi e sentirsi protetto.
Phil tramite l'atto artistico diventa un compagno fedele della costante propulsione evasiva di Craig e in questo primo spaccato di infanzia, il loro rapporto viene a tratti rappresentato come fantasiosamente empatico. E' come se la relazione con il fratello prenda corpo più in un mondo parallelo a quello reale che nella normale vita quotidiana. "Quando disegnavamo allo stesso foglio mi sentivo davvero vicino a Phil", questa frase è emblematica. Il foglio bianco è un nuovo spazio, vergine e tutto in potenza nei suoi possibili significati. Esso ospita regole differenti, proporzioni differenti e, soprattutto, libertà di espressione differenti. Phil e Craig disegnando insieme si incontrano in questo universo fantastico che isola il loro legame da tutto il resto.
L'asse interpretativo dell'opera, che sto evidenziando in questa analisi, caratterizzato dal tema del costante rapporto tra forze costrittive e spinte di sublimazione e liberazione non può che essere rafforzato dall'incontro e l'atteggiamento di Craig con la fede cristiana. Il protagonista cresce, dalla sua tarda fanciullezza, passando poi alla  pre-adolescenza e alla adolescenza, con l'idea del paradiso cristiano come reale opportunità di ottenere la salvezza e sbarcare finalmente in un altro mondo, un "mondo eterno" che avrebbe lavato via "la sua infelicità terrena". La ricerca di quel QUALCOSA di meglio che DOVEVA esserci, passa il testimone dal sogno, la fantasia e l'arte alla fede religiosa.
Sembra che Craig in ogni fase della sua vita sia continuamente portato ad instaurare legami fortissimi con qualcosa per poi vivere questa relazione ossessiva come base per aprire una realtà alternativa che gli faccia dimenticare quella in cui vive.
Sognare e disegnare erano le chiavi al mondo ultraterreno della sua infanzia. L'incontro con la fede porta il protagonista a volersi sbarazzare di tutto il mondo della fanciullezza che ora viene visto come fonte di perdizione e tentazione rispetto all'unica strada possibile per raggiungere la verità e la salvezza, ovvero la parola di dio. Craig brucerà tutti i suoi disegni fatti da bambino.
La ricerca di una liberazione dalle catene della condizione terrena è una vera ossessione. Il fanatismo religioso del ragazzo si dispiega su strade intimiste e personali. Bisogna a tal proposito ricordare che i genitori di Craig sono " Cristiani Rinati", ovvero fondamentalisti protestanti che hanno scoperto la fede in età adulta tramite un esperienza personale trascendente. Questo approccio alla spiritualità è sicuramente importante per capire l'idea di fede propria di Craig, si percepisce infatti una grande attenzione per il contatto diretto con le scritture e l'importanza delle opere per guadagnarsi la salvezza eterna. Ancora una volta, come lo era stato con il sogno, la fantasia e il disegno insieme al fratello, Craig cerca un rapporto personale che trovi il suo significato fuori dalle leggi del mondo e dell'uomo.
In vari punti dell'opera si vedrà come Craig si senta a disagio e spesso rifiuti di partecipare ai riti religiosi di massa e, più in generale, a quelli "sociali" come feste o ritrovi comuni e familiari. Nel protagonista è sempre presente una volontà di dare valore alla propria vita rendendola speciale, abbracciandola nella dimensione quasi mistica di un legame interiore con un oggetto perfetto a cui tendere.
Proprio questo ultimo tema è esemplificato a pieno da quello che probabilmente è il fulcro narrativo più toccante e commovente dell'opera, ovvero la storia d'amore tra Craig e Raina. Craig conosce Raina ad un campo "ricreativo-religioso" invernale. Raina è una ragazza carina, semplice e un pò anticonformista e tra loro c'è subito feeling. Il contesto religioso del campo invernale è significativo: si avverte subito una sorta di contrasto tra la fede incondizionata di Craig e l'attrazione sentimentale e pulsionale che lo avvicina sempre più a Raina. Per Craig è come avere due motori immobili ideali, che sembrano governare le sue azioni teleologicamente.
Nel rapporto con Raina, Carig riscopre se stesso, il suo corpo e la dimensione terrena che si era sforzato di dimenticare fin dall'infanzia. La ragazza è qualcosa di perfetto hai suoi occhi, è un dono divino che si fa carne. Raina diventerà la nuova musa di Craig. Il disegno, che non lo ha mai abbandonato, tenderà ora ad una nuova dimensione aspirazionale, tutta terrena e trascendente allo stesso tempo. L'amore tra Craig e Raina può essere guardato come una sorta di modello di cosa vuol dire innamorarsi per la prima volta, è un insieme di continui sguardi, di parole sussurrate  di gesti incerti e traballanti. Thompson ci fa rivivere qualcosa che ci sembra di aver provato, anche se magari non sappiamo spiegarlo, anche se non sapremmo descriverlo, anche se forse ci sembrava di averlo dimenticato.




Non è sbagliato, a mio parere, vedere questo amore così ingenuo, intenso, semplice e adolescenziale come una sorta di rapporto mistico-religioso. Craig cerca una continua estasi, vuole che il suo rapporto con Raina sia la cosa più speciale dell'universo, vuole che quell'amore sia sacro. Anche all'interno di questa nuova dimensione ralazionale il protagonista dimostra la sua tendenza ad evitare la massa, a crearsi una nicchia vitale quasi surreale, che trova nel sentimento per Raina il soffio che la muove e l'alimenta.
La relazione con Raina non è, tuttavia, solo l'ennesima tappa di una tendenza all'estraneazione che diventa ossessione sublimata, deve essere invece visto, come ho già accennato, come il punto di partenza per una nuova presa di coscienza sul reale e sulla dimensione terrena da parte del protagonista.
Craig dopo aver conosciuto Raina al campo invernale, passerà da lei due settimane, dove il loro rapporto si approfondirà, esplorerà la quotidianità e avvicinerà le loro vite fino a  fondersi l'una nell'altra. Questo li farà riflettere su quel fenomeno "tutto di pancia" che è il primo amore, ma li porterà anche a scorgere i fantasmi del futuro, della crescita inesorabile e dell'età adulta. Ci saranno attimi di dolce incertezza, ricchi di fragili silenzi riempiti, come dice Sofri nella sua prefazione, "dai pensieri dei protagonisti e da quelli dei lettori".
La neve che cade incessante come una benedizione sui due innamorati, coprirà tutto il paesaggio, un Michigan freddo, candito e ovattato.
Intorno ai due personaggi e alla loro bolla esistenziale fatta di parole, disegni, baci leggeri, abbracci e camminate nella neve, si muove tutto un mondo di persone e situazioni che sembrano soltanto toccarli limitatamente.
Sullo sfondo della relazione tra i 2 si intravede infatti la crisi matrimoniale dei genitori di Raina, la difficile situazione dei suoi fratelli adottivi e poi tutto l'universo culturale giovanile americano dei primi anni 90' (non a caso nella camera di Raina si intravedono i poster di Kurt Cobain, Pj Arvey, Jane's Addiction e sia i vestiti che alcune battute dei personaggi richiamano l'atmosfera Grunge tipica di quegli anni).
Questa vacanza può essere intesa come lo sviluppo massimo dell'estasi e del dolore di un'ossessione, quella religiosa e quella amorosa, che in entrambi i suoi aspetti ci fa intravedere la strada della sua evaporazione. Le pulsioni carnali sembrano allontanare Craig dall'ideale incorporeo della fede religiosa, ma nello stesso tempo la quotidianità del rapporto con Raina rende già visibili alcuni momenti di distanza tra i due, piccole avvisaglie di una vicinanza che tenderà  con il tempo a diminuire per poi scomparire definitivamente.
Dopo la vacanza infatti il rapporto con Raina si fa difficile, il sentimento che sembrava così intenso sembra affievolirsi giorno per giorno. Il telefono diventa il canale in cui il nostro protagonista si rifugia nel tentativo di ritrovare quella intimità, sicurezza e libertà che è stata sempre l'oggetto fondamentale della sua continua ricerca esistenziale.
In Craig si fa piano piano strada la consapevolezza di una illusione, come un insieme di ombre che è stato costretto a contemplare sostituendole da sempre alla realtà.
Qui Thompson da, a mio parere, il meglio di se intervallando le immagini relative alle conversazioni telefoniche sempre più rade tra Craig e Raina, ad una splendida trasposizione grafica del mito della caverna di Platone. In questo modo l'autore ci pone di fronte, in modo suggestivo ed emozionante, al faticoso percorso che bisogna affrontare per smantellare i feticci che oscurano la nostra percezione del reale, fino a raggiungere il "sole", simbolo della verità e di una nuova coscienza quotidiana. Questa sequenza è in un certo modo riassuntiva di tutta la vicenda. La caverna è la prigione di ossessioni dove Craig è stato rinchiuso fin dalla nascita, le ombre, invece, possono essere considerate le sue costruzioni fantasiose e illusorie, ma nello stesso tempo anche le sue idealizzazioni della salvezza cristiana e del suo rapporto con Raina, che ha costantemente cercato di sostituire ad una realtà che non era in grado di affrontare.
L'uscita dalla caverna indica la rottura definitiva con il passato, è l'emblema della liberazione e redenzione di un ragazzo che è cresciuto e che ora si affaccia all'età adulta con occhi nuovi. Così come aveva fatto precedentemente con i disegni di infanzia, simbolo di perdizione e allontanamento dai "veri valori" umani e divini, ora Craig brucia in un fuoco purificatore tutti i regali di Raina. E' un addio definitivo.
Nel solco della stessa presa di consapevolezza e uscita dalle illusioni giovanili è da vedersi la crescita del dubbio riguardante le sacre scritture e la successiva messa in discussione e perdita della propria fede.
L'incapacità di accettare l'incertezza e la possibilità di interpretazione e modificazione del tutto umane nella trasposizione della parola di dio, mette Craig di fronte al dilemma della religione come costruzione e proiezione di un bisogno di salvezza ultraterrena che è una necessità del tutto umana e ben poco divina.
La verità divina rivelata viene intaccata dall'azione dell'uomo, la sua eternità e certezza postulata si confronta con la relatività e caducità del linguaggio e dell'esegesi. Questo è inaccettabile per il protagonista, che si rende conto di non poter più affidarsi ciecamente ne alla religione ne all'immagine ultraterrena, come dispensatrici di verità e felicità terrena.
L'approdo all'età adulta è per Craig l'accettazione della necessaria incertezza della vita, "Mi piacciono gli "oppure" sono rassicuranti", penserà riprendendo in mano la bibbia in una delle ultime battute del racconto.
Craig può ora venire a patti con se stesso, con i propri ricordi e la realtà che lo circonda provando gusto ad osservarla, plasmarla e modificarla, un pò come imprimere una serie di impronte sulla neve che per poco segnano i nostri movimenti e la nostra direzione, prima di scomparire sotto le dinamiche e le forze dell'esistenza, lasciando una traccia appena abbozzata del nostro passaggio, ma priva di costrizioni e pronta per scomparire del tutto o essere di nuovo cambiata. Così finisce questo fantastico romanzo, con Craig che affonda i suoi passi nella neve, in un bianco infinito e a noi sembra di essere lì, ad avanzare insieme a lui.



lunedì 17 giugno 2013

D'Urbino-Lomazzi

D'Urbino-Lomazzi: passione, ricerca e funzionalità per un design immerso nella realtà e nella consapevolezza della sua portata storica e quotidiana.


Il 19 Giugno 2013, presso il Castello Sforzesco a Milano, alle ore 17.30 nella Biblioteca Trivulziana verrà presentato il libro "L'archivio De Pas-D'Urbino-Lomazzi" a cura di Maria Teresa Feraboli. Il libro propone una lettura del tutto inedita dell'opera dei progettisti attraverso le carte dell'archivio, organizzate e catalogate da M. T. Feraboli dal 2010 ad oggi. Oltre al libro verrà pubblicato anche un catalogo multimediale sul portale tematico Lombardia Beni Culturali nella sezione archivi storici. 
Lo studio De Pas-D'urbino-Lomazzi (solo D'Urbino-Lomazzi dopo la scomparsa di De Pas nel 1991) rappresenta una delle esperienze più significative del design italiano. Questo gruppo di progettisti ha infatti saputo dare un apporto unico al mondo del design italiano in Italia e in tutto il mondo. Nelle scorse settimane ho avuto il piacere e l'onore di poter assistere ad alcuni interventi di questi due maestri riguardo i temi del processo progettuale e dell'esperienze degli anni '60 e '70 riguardo i gonfiabili. Inutile sottolineare quanto illuminante sia stato potersi confrontare con personaggi di questo calibro, che ancora oggi riescono a mantenersi in sintonia con la contemporaneità e realizzare oggetti stupendi. Ma ciò che davvero mi ha colpito è l'atteggiamento con il quale si sono posti ed hanno raccontato il loro lavoro, non un accenno di superbia o vanto, ma solo un'immensa passione. Spesso il design oggi è visto come un gioco, il fare oggetti estetici che dimenticano la funzione, il designer diventa un personaggio pubblico che vende se stesso insieme ai propri oggetti. Ma tutto ciò che ci circonda è disegnato, il mondo intero è il campo del design. Ovunque ci giriamo vediamo oggetti che non funzionano in termini di durabilità, ergonomia, costo, funzione ed estetica. Nonostante un'esperienza di più di quarant'anni questi maestri del design italiano hanno ancora uno sguardo seminale e limpido, navigano con occhi fanciulleschi nella realtà, sapendo cogliere le piccole cose e gli spunti creativi dai mondi più disparati. Non hanno fatto del loro nome un marchio di qualità, ma lo hanno fatto del loro lavoro, del loro approccio progettuale, creativo e funzionale. Io ne sono rimasta davvero affascinata. Consiglio vivamente di sfogliare questo archivio e partecipare all'evento del 19 Giugno per vedere come il design possa essere vicino al pubblico, rappresentato da persone che ne hanno scritto la storia, ma non hanno bisogno di vendere un'immagine, fare colpi di testa o vestirsi in modo eccentrico. Il design, prima di tutto, è ricerca e innovazione e bisogna dunque mantenere una mente aperta su ciò che ci circonda e muoversi con passione frenetica e sincera nelle pieghe della realtà, nei suoi continui mutamenti, per plasmare l'ambiente e il nostro stile di vita in modo funzionale, sostenibile e meraviglioso. Questi progettisti rappresentano a pieno la consapevolezza della portata teorica e pratica del loro lavoro e per questo ritengo sia prezioso incontrare la loro esperienza e il loro pensiero per vedere come il design possa essere un'ulteriore via di interpretazione e apertura sulla quotidianità.


Blow, Zanotta, 1967

 
Joe, Poltronova, 1970

Sciangai, Zanotta, Compasso D'oro 1979

Valentina, Valenti, 1985


Per saperne di più:
http://www.durbinolomazzi.it/
http://www.adi-design.org/blog/l-archivio-de-pas-d-urbino-lomazzi.html