domenica 5 maggio 2013

Black Mirror

Black Mirror: uno sguardo limpido sul rapporto tra uomo ed innervazione tecnica



Una breve analisi teoretica delle tematiche principali.



Link: http://connect.collectorz.com/movies/database/black-mirror-season-1-2011

Il rapporto tra uomo, innovazione tecnica e comunicazione mediatica è un intreccio che caratterizza sempre più capillarmente le nostre esistenze. La progressiva innervazione tecnologica da parte dell'uomo riconfigura costantemente i nostri sensi, il nostro modo di pensare, di relazionarci e di agire nel mondo.
Questa realtà mutevole e complessa apre l'umanità a nuovi orizzonti, nuove opportunità, nuove paure e nuovi importanti interrogativi. E' proprio all'interno di questo contesto di riflessione che si inserisce Black Mirror, una serie televisiva britannica prodotta e diretta da Charlie Brooker. Ho guardato di recente la prima delle due serie e ne sono stato piacevolmente colpito.
Per cominciare, parlando da un punto di vista prettamente strutturale, Black Mirror si configura come una serie abbastanza atipica. Ogni serie è composta da soli tre episodi autoconclusivi con un cast sempre diverso e una trama a sé stante. L'ordine in cui si guardano non importa, l'unica cosa che li accomuna è, appunto, l'indagine generale sulle tecnologie e i media e su come essi possano agire nella nostra quotidianità.
I tre episodi che compongono la prima serie si intitolano rispettivamente: The national Anthem, 15 Milion Merits e The Entire History of you.
The National Anthem ci mette immediatamente di fronte ad una situazione che per certi versi ha dell'assurdo, quasi kafkiana, ma nello stesso tempo estremamente "possibile". La principessa Susanna è stata rapita. Il rapitore pubblica su You Tube un video nella quale si dice che risparmierà la ragazza a patto che il Primo Ministro abbia un rapporto sessuale con una scrofa in diretta televisiva nazionale. Questo incipit devastante e travolgente diventa un ottimo punto di partenza per analizzare la potenza mediatica di Internet e dei social network, sia dal punto di vista della circolazione dell'informazione che come veicolo di formazione e condivisione dell'opinione pubblica.
L'informazione una volta prodotta diventa ingovernabile, attraversa le reti quasi simultaneamente, entra  nei nostri cervelli attraverso molteplici canali. Viene vista, manipolata, interpretata e reinterpretata continuamente. Si crea una vera e propria battaglia per possederla.
La politica si intreccia con i meccanismi dei canali d'informazione. Una notizia come quella proposta dall'incipit di The National Anthem che riguarda le più alte sfere governative diventa subito un caso pubblico. E' una bomba pronta ad esplodere, sulla quale si riversano gli occhi di un'intera nazione pronta a giudicare l'operato dei propri rappresentanti politici e a schierarsi immediatamente da una parte o dall'altra, decidendo sulla base di un'immagine quale sarebbe il comportamento giusto e quello sbagliato. Black Mirror analizza benissimo alcuni tratti fondamentali tipici del rapporto quotidiano tra uomo e mass media. Vengono infatti ripresi gli sguardi e i commenti a caldo della folla davanti alla tv, l'opinione pubblica che si esprime in sondaggi televisivi "tagliandosi con l'accetta" in una sorta di manicheismo estremo tra appoggio o contrarietà, le reazioni emotive spropositate davanti all'immagine e soprattutto, il cambiamento repentino del giudizio di fronte ad un "nuovo" sviluppo della vicenda.
Proprio su questo ultimo punto, il cambiamento repentino di opinione, credo che questo primo episodio dell'opera di Brooker fornisca spunti di riflessione interessante.
Nella nostra società affidiamo spesso la verità delle nostre convinzioni alle immagini che ci vengono proposte. Crediamo, quasi inconsciamente, che l'immagine che si svolge davanti ai nostri occhi sia una prova di una realtà, che pur non essendo qui davanti a noi, conserva con essa (l'immagine) un rapporto di stretto rimando referenziale. In The National Anthem il rapitore ad un certo punto condivide un video dove "mostra" di tagliare un dito alla principessa rapita, poiché il primo ministro ha cercato di imbrogliare nell'adempimento del suo " compito" ricorrendo ad un esperto di effetti speciali per ritirarsi dall'umiliazione pubblica. A questo fatto l'opinione si indigna e se fino a quel punto stava dalla parte del primo ministro, ora pretende che egli ripari ai suoi errori "sacrificandosi" per la principessa e la nazione alla luce della terribile tortura alla quale hanno assistito in diretta. Inseguito si scoprirà che il dito mozzato era quello del rapitore stesso, il primo ministro accetterà l'umiliazione pubblica e la principessa verrà rilasciata, addirittura mezz'ora prima dell'ultimatum nelle strade deserte di Londra, dando luogo ad una visione quasi surreale in cui tutta la popolazione è davanti alla tv mentre la vittima per cui la popolazione si è mossa ed indignata barcolla senza forza su un ponte, senza nessuno che l'aiuti. Questa è la più grande performance artistica di tutti i tempi.
La cosa che qui risulta molto interessante, a mio parere, è il potere ambiguo dell'immagine. Tutti conosciamo le possibilità di modifica e occultamento delle immagini, tuttavia esse ci attraggono a loro, veicolano i nostri sentimenti e le nostre credenze sul reale. Le possibilità dissimulatorie, documentative, rappresentative, mimetiche e manipolatorie dell'immagine si confondono e ci confondono, consentendo una quantità di azioni imprevedibili che provocano conseguenze interpretatorie difficilmente controllabili.
La simultaneità di internet rafforza molto questa "illusione" di presa percettiva e cognitiva sulla realtà. La diretta simultanea ci fa quasi dimenticare dell'intermediario mediatico, ci da l'illusione di seguire direttamente l'evento e di parteciparvi come testimone oculari. Il contenuto viene troppo spesso interpretato estrapolandolo dal medium da cui è trasmesso, dimenticandoci delle possibilità di questa mediazione.
Lo stimolo che sembra suggerire questa "performance artistica" è che non bisogna dimenticarci del potere e dell'ambiguità dell'immagine e delle informazioni trasmesse. La realtà è sempre molto più stratificata di come appare sugli schermi e una ricerca della verità basata sull'apparente sincerità data dalla simultaneità dei video caricati in internet o dei contenuti dei social che permetterebbe, in un certo senso, la diminuzione della mediazione ( rispetto ad esempio ai giornali o ai telegiornali), non è comunque sufficiente ad inquadrare univocamente l'interpretazione di un'immagine e il suo riferimento.


Link: http://ikono.org/2011/12/black-mirror-best-tv-show-of-2011/

Passiamo ora al secondo episodio, "15 milion merits" sicuramente il più futuristico e distopico dei tre. Il mondo che ci viene proposto è quello di un alienante palazzo simile ad un parcheggio-palestra a più piani e sezioni. Le persone vivono in piccole stanze circondate da grandissimi schermi che le bombardano costantemente di immagini e pubblicità di vario genere. Il motore "produttivo" della società sono delle cyclette sulle quali la gente continua a pedalare senza sosta ricompensata da punti virtuali, esattamente come quelli che si potrebbero ottenere in un videogioco, ed essi servono principalmente a comprare oggetti e gadget virtuali. Inutile dire che già da questa situazione di partenza il senso di alienazione che si percepisce è davvero fortissimo. La "gamezzizazione" della vita in questo secondo episodio sembra essere il marchio di ogni singola azione della nostra esistenza. Ogni individuo perde o guadagna punti a seconda delle sue azioni, tuttavia è costretto a partecipare al "gioco" costantemente.Ogni scelta porta sempre una ricompensa o una perdita di punti virtuali, ma in un mondo dove per poter fare qualsiasi scelta è necessario possedere dei punti virtuali, questo meccanismo risulta essere una costrizione fortissima che non permette nessuna vera possibilità di decisione libera.
La stessa idea di "bisogno" che emerge da 15 Milion Merits è quella di qualcosa di imposto e superfluo. Il protagonista si lamenterà spesso del fatto che ciò che è guadagnato serve solo a comprare cose virtuali.
Questo tema è secondo me interessante per parlare di una fondamentale dissociazione esistenziale che la virtualizzazione estrema potrebbe portare e che Black Mirror cerca di mostrarci nei suoi effetti più catastrofici. Il prodotto del lavoro, i punti virtuali, possono sicuramente essere paragonati ai nostri guadagni monetari, alla nostra economia volatile, alle continue transazioni di capitali che si allontanano sempre più dalla materialità del mezzo di scambio. Tuttavia in questo episodio si fa un passo in più. Infatti, i punti servono per abbellire, modificare e "migliorare" un vero e proprio simulacro esistenziale, un avatar, che risulta essere una vera e propria dissociazione dell'individuo. L'uomo è sottratto, parlando in termini marxisti, dal prodotto del suo lavoro rendendo la sua azione produttiva completamente priva di qualunque scopo poietico. Le nostre azioni modificano la nostra vita, imprimono una forza di cambiamento e modificazione nel nostro ambiente vitale. In questa realtà tutto questo è annullato fino a percepire una soppressione completa della stessa umanità biologico-esistenziale.
Oltre ai temi dell'alienazione e della dissociazione esistenziale in 15 Milion Merits risulta essere presentissima l'idea di una deleteria corsa all'edonismo e una totale spettacolarizzazione del reale. Sembra infatti che lo scopo principale della vita consista nel racimolare 15 milioni di punti, attraverso le poche azioni quotidiane che sono permesse e tante ore sulle cyclette, per poter partecipare ad un programma televisivo dove ci si esibisce davanti a tre giudici e in questo modo si spera di diventare una star di uno show televisivo.
La scalata al successo nel mondo della Tv sembra rappresentare l'unica via di salvezza e di emancipazione sociale possibile, tutto viene appiattito e banalizzato in una esibizione di pochi minuti, che sembra essere l'ultimo baluardo possibile dell'azione umana creativa. Ogni individuo che ha l'occasione di potersi esibire davanti ai tre giudici lo fa anche davanti ad una platea sterminata di avatar, proiezioni degli umani chiusi nelle loro camere-schermo a guardare il programma. L'immagine che ne risulta, anche e soprattutto visivamente, è quella di una realtà senza profondità. La piattezza degli schermi che circondano costantemente i protagonisti, quella del pubblico di avatar davanti al quale si esibiscono le aspiranti star e perfino le macchinette per il cibo a selezione palmare sono connotative di una mancanza di stratificazione esistenziale dei personaggi e della vita in generale proposta in questa distopia.
Ultimo tema, forse il più scioccante, è quello dell'impossibilità della rivolta in una società dove ogni cosa viene riprodotta e strumentalizzata per lo spettacolo. Il protagonista riesce a farsi ammettere ad Hot Star ed è fortemente determinato a compiere un atto di ribellione davanti alla giuria, a urlare ciò che pensa, sperando, in questo modo, di dare una scossa alla sua esistenza e anche quella degli spettatori. La sua arringa è tutta di pancia, è un grido esistenziale straziante, è lo scoppio di un'anima umana che reclama la sua dignità e la sua libertà dall'alienazione  Il momento è toccante, mi ha ricordato il famoso monologo di Edward Norton nella 25 ora di Spike Lee. Nonostante questo climax di tensione, che sembra portare un pò di sana forza vitale in un mondo sterile e "inorganico", le sue conseguenze sono sconcertanti. Lo sfogo del protagonista è subito strumentalizzato dai giudici, che intravedono nella sua forza un potenziale spettacolare non indifferente. La critica muore istantaneamente e diventa essa stessa parte del sistema. Gli viene dato un programma dove potersi sfogare e "criticare" la realtà sociale, ma in questo modo la sua efficacia è già scomparsa.
Questo tema, già molto caro a filosofi del calibro di Benjamin o Deborde, è davvero inquietante e spaventoso. Le pulsioni di emancipazione, lo spirito critico, la voglia di libertà possono essere convertite, attraverso i mezzi di riproduzione tecnica di massa, in uno spettacolo mediatico che diventa un palliativo comune per i problemi sociali ed esistenziali. Le masse sfogano i loro istinti attraverso il media, si immedesimano e si ribellano attraverso di lui, ma senza passare all'azione. In questo modo si è davanti ad una simulazione incarnata delle proprie tensioni, una continua droga di rabbia sterile, che ci rende docili al controllo.


Link:http://www.daringtodo.com/lang/it/2013/03/20/black-mirror-la-seconda-stagione-ieri-sera-su-sky/

Terzo e ultimo episodio della prima serie, The Entire History of you, è forse il  il punto più alto di questo primo ciclo.
Immaginiamo che in un futuro non troppo lontano, quasi presente, ogni frammento della nostra vita possa essere immagazzinato in una memoria informatica attraverso un chip posto dietro il nostro orecchio e successivamente le immagini memorizzate possano essere riprodotte a piacimento davanti ai nostri occhi o addirittura su un monitor pubblico condividendone la visione con altre persone. Immaginiamo in seguito un giovane avvocato estremamente geloso di sua moglie, una cena con dei vecchi amici e alcuni scambi di sguardi e di battute un pò equivoche tra la moglie del giovane avvocato e uno degli amici in questione. La spirale di paranoia e sospetto è una conseguenza inevitabile ed è alimentata in modo devastante dalla possibilità offerta dal chip di scandagliare i ricordi e le esperienze delle persone pubblicamente.
Questo terzo episodio risulta estremamente interessante per molti motivi.
Innanzitutto una tecnologia come quella di questo chip, porta ad una modifica nel modo di percepire il proprio tempo. Che cosa voglio dire? Tutti noi agiamo e viviamo in un presente attuale, rispondiamo agli stimoli, ci muoviamo, programmiamo le nostre azioni secondo le circostanze presenti etc etc. Tuttavia il nostro approccio al mondo non è caratterizzato solamente dalle contingenze attuali, ma si basa anche su un continuo carosello di immagini interne provenienti dagli stimoli passati, dalle esperienze che abbiamo vissuto, dai nostri ricordi, da quello che magari vogliamo tenere solo per noi ma che comunque influenza le nostre scelte. Il microchip di questo terzo episodio confonde questo piano interno con quello esterno, spezza la linearità del tempo attuale che si svolge davanti ai nostri occhi e ai nostri sensi. Il tempo interno è fatto di balzi, associazioni frammentarie, rimandi continui ad esperienze più o meno passate. La possibilità di poter proiettare davanti ai propri occhi uno qualsiasi di questi frammenti temporali ed esistenziali spezza la continuità dell'ambiente in cui ci muoviamo.
La profondità percettiva viene appiattita come in un monitor, i nostri bulbi oculari diventano due proiettori, le immagini vengono riprodotte, possono essere modificate, rallentate, bloccate ( bellissime le sequenze dove il protagonista continua a far avanzare, stoppare e ripartire le stesse immagini davanti ai suoi occhi),in poche parole quello che viene modificato è l'aspetto prettamente ecologico della percezione.
Questa modifica del tempo attuale non ha solamente conseguenze "percettive" ma anche esistenziali. L'uomo ha la possibilità di sfuggire dal presente in qualunque momento, proiettando i ricordi felici e gradevoli di esperienze passate avendo l'occasione di riviverli. Certamente questo è già in un certo modo possibile attraverso i nostri sistemi di ripresa e riproduzione, ma un meccanismo come quello del chip in questione consente un appagamento e un'immedesimazione molto maggiore, poiché sono i nostri stessi occhi ad avere quelle immagini impresse e proiettate sulla retina (idea molto simile a quella mostrata dalla Bigelow nel suo bellissimo "Strange Days").
Qui il tema dell'innervazione tecnica raggiunge livelli di riflessione davvero molto profondi. I personaggi di The Entire History of you sono dei Cyborg a tutti gli effetti, la tecnologia ha modificato le loro possibilità percettive intrecciandosi con il loro apparato sensorio consentendo un diverso controllo sul reale, in questo caso, sulla dimensione esperienziale interna.
Strettamente collegato a quest'ultimo tema dell'innervazione è una concezione ossessionata e ossessionante per la verità. La possibilità di rivedere davanti ai propri occhi le immagini della vita di ognuno, toglie la possibilità del racconto, della modifica verbale, dell'omissione. In una società come questa la propria storia non è da raccontare ma da mostrare così com'è. Tutto questo fa si che si sviluppi una vera e propria mania per il dettaglio (il protagonista chiede alla moglie più volte la durata "esatta" della sua relazione extraconiugale con un impeto quasi maniacale, che sembra slegarsi dal fatto in sé del tradimento), che esula dal contenuto esperienziale ed esistenziale degli eventi vissuti.


Link:http://blogs.independent.co.uk/2011/12/19/review-of-black-mirror-%E2%80%93-%E2%80%98the-entire-history-of-you%E2%80%99/

Ovviamente ci sarebbero molte altre tematiche e spunti di riflessione per ognuno degli episodi della serie, in questo articolo mi sono limitato ad evidenziare gli aspetti che mi sembravano salienti e di maggior impatto.
Per concludere, Black Mirror è una serie che tratta con maturità estrema, grande potenza visiva e narrativa importantissimi temi legati al rapporto dell'umanità con la propria produzione tecnologica, dando adito ad una ampissima quantità di possibili riflessioni e stimoli. Tutto questo è calato in un contesto quasi quotidiano che rende ancora più efficace la sua proposta riflessiva. 
In definitiva: un'opera da vedere assolutamente e su cui pensare a lungo.
(ah...dimenticavo...un grazie speciale a Nicolò per avermi bollato per tanto tempo dicendomi di guardare la serie, ne è valsa davvero la pena!) 

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