Ce la caveremo papà?
Si. Ce la caveremo.
E non ci succederà niente di male.
Esatto.
Perchè noi portiamo il fuoco.
Si. Perchè noi portiamo il fuoco.
La Strada, Cormac McCarthy
Nei film, nei romanzi, nei
fumetti, nei videogiochi, quante volte abbiamo visto in scena il futuro, più o
meno, catastrofico dell’umanità e del nostro pianeta? Questo può sicuramente
essere il sintomo costante della consapevolezza dei rischi a cui la nostra
società va incontro, della paura degli effetti devastanti dei nostri mezzi
tecnologici, dall’ansia data dagli squilibri sociali, dal sovrapopolamento e
delle proiezioni statistiche sull’esaurimento delle risorse materiali ed
energetiche.
Alla luce di queste paure, molti
teorici hanno cercato di interpretare la sfuggente situazione presente e
ipotizzare una possibile chiave di volta per un cambiamento che ci permetta di
affrontare il nostro tempo e quello che deve ancora venire, come nel caso del
sociologo e scrittore tedesco Ulrich Beck e della sua teoria della “società del
rischio”, emblema, a suo parere, della nostra quotidianità.
Questa premessa è un incipit
volto a riflettere su due opere, una letteraria e una cinematografica, che ci
parlano entrambe di catastrofe in maniera molto diversa : “La Strada” di
Cormac McCarthy e “Melancholia” di Lars Von Trier.
Nella visione del nostro presente
teorizzata da Beck, ovvero quella della società del rischio, gioca un ruolo
davvero importante il formarsi di una comunità di pericolo, che spronata da un
rischio di portata globale ha l’occasione, il dovere e la necessità di prendere
coscienza e muoversi all’azione. Tutto questo fa pensare al delinearsi di una
dimensione più collettiva e gregaria, oltre che a una speranza e una fiducia di
uscire dallo stagnamento creato dalla natura invisibile e incerta del rischio.
Il romanzo di Cormac McCarthy porta in scena un’immagine del futuro, del mondo,
degli uomini e dei loro oggetti totalmente differente.
I due protagonisti del Romanzo
sono completamente soli, vagano per un mondo completamente distrutto, freddo e
oscuro, non c’è traccia di solidarietà sulla strada che “L’uomo” e “il bambino”
percorrono incessantemente, anzi gli altri uomini sono visti come un pericolo,
come entità malvage da cui stare alla larga. L’uomo e il bambino sono i “buoni” e si contrappongono agli altri che sono “cattivi”, si innesca quasi una
lotta per la sopravvivenza in un mondo che ormai sembra non avere più risorse
da offrire.
Il paesaggio è ricoperto di
cenere, l’orizzonte è una distesa di rovine, la natura è completamente
sfigurata e gli oggetti che i due personaggi trovano rimandano ad una civiltà
che ormai sta scomparendo, responsabile implicito di un incubo che si è
realizzato e che ora è realtà attiva, con le sue logiche e le sue
caratteristiche da affrontare. Sembra di essere tornati ad uno stadio primitivo
della civiltà, dove l’uomo per sopravvivere deve accontentarsi di ciò che trova
in giro, di ripararsi in posti di fortuna, di andare avanti continuamente in
una perenne battaglia per restare in vita, tuttavia, a differenza della nostra
immagine di primitività dove l’uomo è raccoglitore e cacciatore ed è
perfettamente inserito nell’ambiente naturale e nel suo ciclo vitale, nel
romanzo di McCarthy la natura non ha più nulla da offrire, non ci sono piante,
ne grotte dove ripararsi, non ci sono animali da cacciare, ci sono solo i resti
di una vita lontana ormai in deperimento. I due protagonisti si riparano sotto
un telo di plastica, si portano dietro un carrello di cianfrusaglie e di cibo
in scatola, l’unico nutrimento che sembra essersi salvato dalla distruzione.
Tutto il mondo delineato da McCarthy sembra essere una grande discarica,
perfino il mare, raggiunto dai due protagonisti nell’ultima parte del romanzo,
si presenta come una distesa scura e fredda dove sopravvive solo un relitto
arrugginito e mal messo.
In un immaginario simile non trova posto la speranza,
né l’immaginazione di un futuro migliore. Scorrendo le pagine del libro sembra
proprio non avere nemmeno senso pensare ad una via di uscita, ad una svolta che
possa far uscire i due protagonisti e l’umanità da quella arida distesa di cenere
che è il mondo. L’immaginazione sul futuro e i suoi rischi, che nel pensiero di
Beck deve essere l’input per la presa di coscienza del singolo e per la
formazione di una comunità di pericolo globale, in McCarthy manca del tutto,
non c’è futuro a guidare le azioni dei due protagonisti né immaginazione a
figurare i rischi del domani, c’è solo l’autoconservazione presente, la
ripetitività del passo lento su una lingua d’asfalto che conduce ad una meta
senza nessun significato. Quel mare che dovrebbe simboleggiare la via per un
posto migliore e lontano, in realtà è
soltanto una massa oscura, fredda e insormontabile.
L’immagine del mondo che emerge
da “La Strada” è qualcosa di quasi surreale, rappresenta la nostra paura più
estrema rispetto al nostro futuro. Leggendo il romanzo è difficile credere che
la nostra vita possa davvero trasformarsi in un tenebroso vagabondaggio tra
cenere, macerie e pioggia gelida, tuttavia la scena risulta così forte e
opprimente nella sua ripetitività da smuovere, a mio parere, un sentimento di
angoscia che ci fa riflettere sul valore della nostra vita e sull’importanza di
preservare il nostro pianeta.
Se l’analisi di sociologi o
filosofi come Beck o Benjamin cercano di analizzare la realtà e la storia
razionalmente e di mettere in luce buoni argomenti per cui è necessario un
cambio di rotta, l’arte con le sue tinte forti e le sue potenti immagini fa
presa sul nostro lato emotivo, smuove i nostri sentimenti e fa emergere le
nostre paure. Anche questo, a mio parere, può essere un input forte alla
riflessione e all’azione. Non a caso Benjamin per esprimere il suo concetto di
storia come un’immensa catastrofe parte proprio dal gioco immaginativo con un
piccolo quadretto di Paul Klee dal quale egli non si è mai separato. Sono tanti
gli spunti che l’arte offre sul tema del rapporto dell’uomo con la catastrofe,
nel mio caso particolare la lettura del romanzo di McCarthy mi ha rimandato ad
una interpretazione cinematografica che rappresenta la catastrofe in modo
sicuramente molto differente da quella presentata dallo scrittore statunitense,
ma che può, a mio parere, dare buoni spunti di confronto. Mi sto riferendo al
film “ Melancholia” di Lars Von Trier.
Nell’opera di Von Trier il tema
centrale è il rapporto tra due sorelle Justine e Claire, sullo sfondo di un
imminente catastrofe planetaria dovuta all’impatto con la terra di un pianeta
azzurro e bellissimo di nome Melancholia. Il film, oltre ad analizzare la
complicata relazione tra le sorelle e a mettere in luce una profondissima
analisi psicologica dei personaggi, ci mostra a fronte delle differenze
caratteriali, di vita e di aspettative delle due sorelle, il diverso stato di
attesa e reazione alla catastrofe imminente. Justine, sprofondata in una
terribile depressione catatonica la sera del suo stesso matrimonio non chiede
più nulla alla vita, è priva di ogni tipo di aspettativa o speranza, niente la
soddisfa e dopo aver tradito e lasciato il suo novello sposo, arriva a
dipendere totalmente dalla sorella Claire costretta ad accudirla ed aiutarla
per ogni cosa. Claire invece vive una vita “normale”, ha un marito e un figlio
di nome Leo. Nel frattempo, come già accennato, il cielo che sovrasta i nostri
personaggi diventa il teatro di una possibile irreversibile catastrofe che
segnerebbe la fine del mondo. Un pianeta, Melancholia, dopo aver offuscato la
stella Antares si sta avvicinando alla terra minacciosamente, secondo il marito
di Claire, esperto di astronomia, le probabilità che l’impatto si verifichi
sono scarse, tuttavia strani fenomeni atmosferici e strani comportamenti negli
animali (i cavalli si imbizzarriscono apparentemente senza motivo) fanno
presagire che non sia così. Il pianeta infatti si avvicina sempre di più e ora
è la sorella “forte”, Claire, a soffrire di crisi depressive ed è invece
Justine ad affrontare la catastrofe imminente con più tranquillità e sicurezza.
La situazione via via che il pianeta si avvicina sale in un climax di tensione,
il marito di Claire, capito ormai il destino della terra, si suicida lasciando
la moglie, Justine e il piccolo Leo soli ad affrontare l’impatto. Justine è ora
la forte del gruppo, colei che era troppo “ debole” per la vita diventa ora,
nella catastrofe, la più forte. L’impatto è imminente, Justine decide quindi di
costruire un rifugio immaginario, una piccola capanna di legno, con il nipotino
Leo. I tre personaggi entrano nella “ grotta magica” si tengono per mano
aspettando l’impatto tutti e tre assieme in un’immagine ormai mistica (o
messianica) di attesa. Melancholia colpisce la terra in un esplosione che
riempie completamente lo schermo.
Quello che si può ricavare di
utile per la nostra riflessione dal film di Von Trier sono soprattutto i temi
dell’immaginazione e della solidarietà già presenti in qualche modo sia in Beck
che in McCarthy.
Justine, come i due protagonisti
di Mc Carthy, sembra non avere speranze, non c’è un futuro davanti a lei. La
depressione la pervade a tal punto da vivere ormai in una monotonia quasi
irrazionale, non progetta, non immagina perché non ne ha bisogno. Non c’è
futuro e quindi non c’è nulla da immaginare. Proprio per questo nel momento
della catastrofe è lei quella più forte, in quanto l’ha già accettata da tempo.
Claire al contrario è immersa nella sua vita, per lei l’impatto di Melancholia
è la distruzione di tutte le sue speranze, di tutti i suoi progetti, ella vorrebbe
fare qualcosa ma si sente impotente, vorrebbe reagire in qualche modo, ma la
distruzione è inevitabile perché ormai è in atto. Questo può rimandarci a Beck
e alla natura intermedia tra sicurezza e distruzione del rischio. Proprio
perché il rischio è ancora “virtuale” e non è ancora in atto può essere l’input
per l’azione e deve esserlo. Si può agire nella previsione di una catastrofe
che si potrebbe evitare mentre, come ci insegnano Melancholia e La Strada, non
sembra esserci futuro nel disastro totale in atto.
L’altro tema, come accennato, è
quello della solidarietà. I personaggi di Von Trier si riuniscono insieme sotto
un riparo, che se pur fittizio, simboleggia quel bisogno di sicurezza comune e
quella necessità di affrontare insieme la catastrofe. Questo, ovviamente, può
rimandarci ancora a Beck e alla necessità di formare una comunità globale di
pericolo che possa con un sincero sforzo sinergico affrontare e vivere il
rischio con nuova coscienza.