American Dust
Prima che il vento si porti via tutto
Polvere… d’America… Polvere
"Romanzi del genere li riesci a scrivere solo se hai visto il fondo della sconfitta, o se sei già morto: non sei capace di quella intensità mite, di quella convalescente economia di parole se sei ancora vivo, o vincente. Per urlare così sottovoce, devi essere finito. Allora ti spetta una dolcezza che, in compenso, è infinita". Con queste parole Alessandro Baricco ha cominciato la sua recensione di American Dust e credo che siano profondamente rappresentative dell'aria che si respira in quest'opera.
Richard Brautigan scrive questo libro nel 1982. Negli anni '60 era stato un autore di culto, soprattutto in America e soprattutto nell'ambiente della Beat Generation. Il suo capolavoro "Pesca alla trota in America" ebbe un grandissimo successo, ma nel giro di dieci anni la fama di Brautigan ebbe un calo spaventoso. Libro dopo libro il giudizio di critica e pubblico peggiorò sempre di più e la paranoia, l'alcolismo e la depressione lo attanagliarano in un vortice brutale pronto a spingerlo sempre più giù, fino al suicidio avvenuto nel 1984 con un colpo di fucile calibro 44.
La storia di American Dust è davvero molto semplice. C'è un ragazzino di dodici anni e c'è un lago dove spesso si reca a pescare. Tutte le sere d'estate una strana coppia arriva al lago, scaricano un gran quantità di mobili e tra cui un divano, si mettono comodi e cominciano a pescare. Il ragazzino li vede sempre arrivare dall'altra sponda del lago. Un giorno decide di fare il giro e andare a scoprire chi sono.Tutto qui? Si, ma non proprio.
Nell'arco narrativo e temporale di questo mezzo giro di lago per scoprire qualcosa sugli strani personaggi, ci sta il racconto di tantissime storie ed esperienze, in un certo senso ci sta tutta la vita del ragazzino e non solo.
Brautigan come un regista visionario, compie un'opera di montaggio funambolico, la storia raccontata in prima persona oscilla continuamente dal Brautigan ragazzino, protagonista delle vicende, al Brautigan adulto, narratore onnisciente che si riscopre e rivive di nuovo in prima persona l'esperienze della sua infanzia.
E' un continuo gioco di flashback e flashforward, di rimandi al passato e allusioni al presente. L'autore gioca con i personaggi e con le vicende, le interrompe per poi riprenderle, salta da una storia all'altra con leggerezza ed ironia, per poi ritornare sempre a quel lago, al ragazzino dodicenne e alla coppia di grassoni intenti a scaricare i mobili dal furgoncino. Brautigan ci avvisa sempre sulla strada che sta per prendere, sulla scheggia di esistenza che vuole aprire e noi lo seguiamo senza difficoltà nel viaggio della sua memoria e nelle immagini dei suoi ricordi:
"Insomma il furgoncino carico di mobili è ancora incollato come una specie di cartolina a quel miraggio che è il passato. Dovrei lasciarli avanzare e prendere il posto che gli spetta sulle rive del lago. I due sono a non più di un centinaio di metri dal lago e basta che li lasci andare perché loro arrivino proprio qui dove sono seduto. Ma per qualche strana ragione non ho intenzione di lasciarli venire verso il lago a scaricare i loro mobili e incominciare quella serata di pesca di un terzo secolo fa. Sono quasi certo che ormai siano morti."
Nei limpidi frammenti di memoria, che lo scrittore fa emergere dolcemente quasi con un amaro sorriso nostalgico, c'è l'America immensa e polverosa del dopoguerra. Un'America lontana dalle grandi metropoli, fatta di laghi, campi, strade deserte, baracche di legno e popolata da personaggi strambi e decadenti, come un vecchio barbone che passa la sua esistenza scolando bottiglie di birra, che il ragazzino raccoglie per racimolare qualche dollaro e sentirsi "il Rockfeller dei vuoti". Brautigan descrive tutto questo con la semplicità dello sguardo di un fanciullo velato, tuttavia, dalla tenera tristezza e malinconia di un uomo che ha visto il vento dell'esistenza portarsi via tutto: dai suoi sogni, alla sua infanzia e alla sua innocenza.
American Dust è così commuovente nella sua semplicità perché è pervaso da una sincerità strabiliante, da una meravigliosa leggerezza che pesca a piene mani dai ricordi di una esistenza pervasa dal dolore. Un dolore che arriva al culmine nel ricordo dell'amico ucciso accidentalmente nel 17 febbraio del 1948, in un campo di meli durante un pomeriggio di gioco. Dalle pagine del libro, traspare costantemente il terribile rimorso per quella scelta così fatale e allo stesso tempo innocente tra un hamburger e una scatola di proiettili che avrebbe messo fine al bambino che era in lui e avrebbe tormentato per sempre l'uomo che sarebbe stato:
"Quel pomeriggio non sapevo che la terra aspettava di ridiventare una tomba nel giro di qualche giorno appena. Peccato non poter afferrare il proiettile e respingerlo dentro la canna del fucile calibro 22 perché si riavviti nel caricatore e di lì dentro al bossolo, come se non fosse mai stato sparato o nemmeno mai caricato."
L'ombra della morte, che come un soffio di vento è pronta a portarsi via tutto e a lasciare solo la polvere, aleggia in tutta l'opera. Tuttavia, l'atmosfera non è mai cupa. Il libro è pervaso da un aura di bellezza cristallina, che si contrappone alla mancanza di senso della vita umana e all'inseorabilità del caso che governa incontrastato le nostre vite, come fossero granellini di sabbia.
Per concludere, American Dust è a mio parere un piccolo capolavoro da leggere tutto di un fiato, scritto in modo magnifico e, come dice Baricco, con "una tristezza che non è mai triste".