lunedì 17 marzo 2014

Satoshi Kon. L’uomo dei sogni





“La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare.”
Secondo Schopenhauer la differenza tra vita e sogno è, principalmente, una questione di linearità d’esperienza. Due dimensioni che si trovano profondamente a contatto, che si incrociano l’una con l’altra e sembrano afferire ad uno stesso contenuto, letto e spiegato seguendo un ordine diverso. Due facce della stessa medaglia, della stessa storia.
Seguendo l’input del filosofo tedesco non è difficile pensare alla miriade di esempi artistici, letterari e cinematografici che si sono interrogati proprio sull’ ambiguità del confine tra sogno e realtà. La sottigliezza di questo limite è qualcosa che porta quasi naturalmente alla produzione di esperimenti mentali, al ribaltamento dei punti di vista, ponendoci domande sull’effettiva possibilità di una stessa percezione “oggettiva” e “vera” del mondo. La famosa immagine di Hilary Putnam per la quale potremmo tutti essere “solo cervelli in una vasca” che sognano di vivere, l’enorme illusione di Matrix, fino ai “sogni nel sogno” del più recente Inception di Christopher Nolan, sono tutti esempi che si muovono sullo stesso incerto crinale. Ci sono dunque tantissimi autori che potrei citare su questo tema, ma ce ne è uno, in particolare, che mi ha sempre colpito per l’originalità e la profondità con la quale vi si è approcciato nei suoi lavori. Sto pensando a Satoshi Kon ( 1967-2010), straordinario fumettista e regista d’animazione giapponese, prematuramente scomparso a soli 47 anni. Nella sua tanto breve quanto folgorante carriera, Kon, ha dedicato gran parte delle sue opere, sia cartacee che cinematografiche, a vicende che hanno come tematica principale l’abbattimento della barriera tra finzione e vita reale.
Già dai manga che precedono la sua  acclamata carriera di regista, Satoshi Kon, ama giocare con le confuse delimitazioni tra mondi immaginari, illusione, sogni e realtà. Un esempio fondamentale, da questo punto di vista, risiede in Opus, miniserie pubblicata in Giappone tra il ’95 e il ’96 sulla rivista Comic Guys e approdata in Italia solo nel 2013 grazie a Planet Manga. Opus parla di Chikara Nagai, un fumettista che “cade” in una tavola del suo fumetto e finisce per vivere un’avventura ricca di tensione insieme ai personaggi da lui creati, fino ad un finale che lascia a bocca aperta. Il mondo tridimensionale si mescola con quello bidimensionale, il creatore si rivela alle sue creature, le certezze di due mondi crollano, così come i loro confini, mentre l’ esistenza di ogni personaggio  assume un valore e uno scopo differente. Come sarebbe scoprire, un giorno, di essere una creatura frutto della fantasia di un’artista? E per l’autore, come sarebbe scoprire che i personaggi da lui creati vivono, amano, odiano, soffrono e muoiono davvero? Come farebbe lui stesso ad essere sicuro di non essere solo un personaggio scaturito dalla penna di un altro disegnatore? Un rimando all’infinito. Un’eterna ghirlanda di compenetrazioni e corrispondenze. 


Questo campo aperto, che al solo pensiero sembra premere forte sulle nostre meningi facendoci vacillare, è ancora più spettacolarmente protagonista nella produzione cinematografica. Si parte dal mediometraggio Magnetic Rose(1996), diretto da Koji Morimoto e sceneggiato da Kon, in cui due astronauti, seguendo un segnale di emergenza captato dalla loro astronave, si ritrovano in un micro mondo creato dai ricordi di una misteriosa donna. Proseguendo, invece, con i film girati e sceneggiati interamente dallo stesso Satoshi Kon troviamo Perfect Blue(1997), dove la vita di un’attrice, sconvolta da alcuni avvenimenti, arriva al punto di diventare un’inquietante e instabile mix di allucinazioni e confusa realtà. Millennium Actress(2001), in cui una vecchia attrice ripercorre la propria esistenza, confondendo le sue esperienze personali alle trame di tutti i film che ha interpretato. Infine, cito il mio  film preferito del regista giapponese che, a mio parere, rappresenta anche il suo più grande lascito sul tema del sogno, il celebre Paprika- Sognando un sogno(2007). La pellicola ci racconta di un futuro dove gli psicanalisti hanno la possibilità di introdursi direttamente nei sogni dei pazienti in modo da aiutarli ad affrontare i traumi celati nel loro subconscio. Questa procedura può avvenire grazie a dispositivi chiamati Dc Mini, che vengono custoditi dagli psicanalisti con la massima attenzione. Tuttavia, un giorno, alcuni di questi dispositivi vengono rubati. Il misterioso ladro inizia a far vivere sogni ad occhi aperti alle persone. La situazione si aggrava sempre di più, fino alla creazione di “un sogno collettivo” che rischia di sostituire completamente la realtà. Paprika è un vero capolavoro, sia narrativo sia percettivo. Le atmosfere oniriche create da Kon rientrano sicuramente tra gli esempi di animazione più sconvolgente che mi sia mai capitato di vedere.


Satoshi Kon era un’artista grandioso, di cui il destino, ahimè, ci ha privato troppo presto. Ci rimangono le sue opere, che di sogni si sono alimentate e di sogni ci hanno parlato. Il meraviglioso lascito di un uomo che ha cercato, attraverso la sua arte, di comprendere la complessità e l’infinita bellezza della vita, fino all’ultimo giorno della sua esistenza e a quella semplice frase da addio sul suo sito web: «Pieno di gratitudine per tutto ciò che di buono c'è nel mondo, poso la mia penna. Con permesso. Satoshi Kon»

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