Al contrario di quanto si potrebbe pensare, sono sempre
stato attratto dalla fantascienza, non tanto per il suo aspetto immaginario, ma
per la sua particolare perspicacia nell’interpretare i sintomi delle piccole
tensioni del presente. Per me, infatti, chi si occupa di fantascienza è come un
medico che, dopo aver analizzato il corpo sociale, fornisce un responso sulla
sua condizione attuale e possibile
evoluzione.
Ci sono due macro generi fantascientifici che incarnano
molto bene questo aspetto “diagnostico”. Il primo è l’utopia e il secondo è la
distopia. Ed è proprio su quest’ultimo che mi piacerebbe esprimere qualche
parola.
Il romanzo distopico è caratterizzato dalla messa in scena
di una situazione sociale che è,
potenzialmente, la peggiore possibile. A partire dall’inizio del novecento gli
esempi letterari su questo tema si sprecano. Per fare qualche nome, potremmo
citare tre libri universalmente riconosciuti come capolavori del genere,
ovvero,( in ordine cronologico): Il mondo
nuovo di Aldous Huxley, 1984 di
George Orwell e Farenheit 451 di Ray
Bradbury.
Il primo anticipa concetti quali lo sviluppo delle
tecnologie della riproduzione, l'eugenetica e il controllo mentale, usati per
forgiare un nuovo modello di società. Il secondo, invece, ci mette di fronte al
quadro di una società fortemente gerarchica, basata su un regime propagandista
che si serve della tecnologia per controllare ogni singolo membro della
società. La giustizia è amministrata con un sistema penale violento che
persegue l’eliminazione di ogni dissenso. Sul piano culturale è fondamentale la
riscrittura continua della storia e della memoria, l’incitamento all’odio verso
ciò che è esterno o diverso e il conseguente assoluto conformismo. 1984 è
l’estremizzazione del totalitarismo politico e tecnologico. Infine, l’opera di
Bradbury, si concentra maggiormente sul tema della mediazione culturale e del
controllo dei canali di informazione. I libri bruciano e la televisione
continua a parlare, come un pappagallo guidato da un governo che arriva
ovunque.
I tre romanzi che ho
citato trovano un punto comune nella presentazione di uno stato totalitario, in
cui la popolazione è controllata in ogni momento della vita. Ovviamente, questo
modello, è stato molto popolare nella prima parte del ‘900 dove la Germania
nazista e la Russia sovietica fornivano un “esempio reale” di distopia.
Andando avanti con gli anni e arrivando fino ai giorni
nostri, a mio parere, il modello distopico che ha prevalso è qualcosa di
opposto a quello incentrato sul totalitarismo e il controllo. La caduta dei
grandi blocchi politici, la globalizzazione sociale ed economica, lo sviluppo
della tecnologia informatica, internet, l’avvento dei social network e
l’avanzamento spropositato della biologia e dell’ingegneria genetica, hanno
risvegliato in noi nuove fobie ( o letteralizzato quelle antiche), che la
fantascienza, come sempre, ha saputo cogliere e interpretare. Pensiamo ad
esempio a Neuromante (1984), di
William Gibson, manifesto del cyberpunk e pioniere nell’analisi della
relazione tra l’uomo e la macchina
nell’epoca cibernetica. Il cyberspazio è un luogo incontrollabile, fatto di
connessioni volatili e di fibre ottiche, dove il rapporto tra cultura e natura
viene riscritto. La riproduzione in serie dell’epoca meccanica, la catena di
montaggio che aveva ispirato l’omologazione riproduttiva di Huxley, viene sostituita
dalla modificazione genetica e tecnica che porta all’ibrido e al cyborg.
La distopia ora è il caos, l’assenza di controllo,
l’abbattimento del limite e della definizione, che si manifesta sia nella
liquidità della rete informatica, sia nello spettro di un ritorno allo stato
primitivo. Antecedenti storici, come Il
Signore delle Mosche di William Golding , ci avevano già illuminato in
qualche modo su questo tema. Parlando di tempi più recenti, potremmo pensare ad
uno dei più bei romanzi degli ultimi anni:
La Strada di Cormac McCarthy. In uno scenario post-apocalittico, “l’uomo e
il bambino”, protagonisti senza un nome, quasi ad indicare un ritorno al
pre-linguistico, vagano in una landa grigia e desolata, dove vige l’etica della
violenza bestiale e la civiltà è rappresentata da macerie e oggetti in disuso.
Un altro esempio fondamentale potrebbe essere rappresentato dalla moda attuale
per gli zombie o gli “infetti”. La paura del disastro batteriologico o di
un’epidemia mondiale, che spacchi i legami civili per farli cadere nel baratro
della ferinità. Anche qui, la distopia in atto, è quella del caotico,
dell’incontrollabile e dello stato bestiale. Gli zombie di Kirkman (The walking
dead), così diversi da noi, ma allo stesso tempo così simili, sono la materializzazione
delle nostre attuali paure. Esse assediano la nostra parte razionale che, come
i sopravvissuti al contagio, si ripara nel fortino di turno, sperando in un
ritorno ( o in una non caduta) della nostra civiltà civile.
Accidenti, Il Signore delle Mosche mi manca proprio!
RispondiEliminaGran bel libro anche quello!;)
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