Donna Haraway e il manifesto Cyborg. Una riflessione per la Giornata contro la violenza sulle donne e non solo.
In molti mi dicono che sono un po’ Nerd. E’ vero, mi
piacciono le cose strambe e, come molti rappresentanti di questa categoria
volatile, adoro la fantascienza. Viaggi
spaziali, Robot, battaglie galattiche, viaggi nel tempo, teorie pseudoscientifiche
e cyborg. Si, i Cyborg. Ci ho fatto addirittura un seminario all’università.
Questo è un articolo per la giornata della violenza contro
le donne, ma allora, vi chiederete voi, che cosa diavolo centrano i Cyborg? Bè,
i Cyborg centrano eccome, in quanto vorrei rendere un breve omaggio all’audace
lavoro di una delle pensatrici più originali del nostro tempo, che, a mio
parere, offre spunti interessanti per ripensare al rapporto tra i generi.
Donna Haraway, classe 1944, cattedra presso il dipartimento
di “History of Consciousness” dell’università di Santa Cruz, professoressa
della European Graduate School dove insegna “femminismo e tecnoscienza” e
autrice del celebre “Manifesto Cyborg” del ’91.
La storia della cultura occidentale è sempre stata
caratterizzata da una struttura concettuale basata su coppie di categorie come
uomo/donna, naturale/ artificiale, corpo/mente. Questo dualismo non è mai alla
pari, ma al contrario comporta sempre un dominio di una parte sull’altra. Da questa
premessa la coraggiosa e beffarda proposta della Haraway: “Mi propongo di
costruire un ironico mito politico fedele al femminismo, al socialismo e al
materialismo. E forse più fedele ancora: come l’empietà, e non come la
venerazione o l’identificazione. Al centro della mia fede ironica, della mia
empietà, c’è l’immagine del cyborg. [..] La biopolitica di Michel Foucault non
è che una fiacca premonizione di quel campo aperto che è la politica del
cyborg.”
In questo “campo aperto”, in primo luogo ci sono i
“cedimenti di confine”. I confini che crollano sono quelli dei dualismi, quelli
del dominio di un categoria sull’altra, della disparità che rende schiavi e
succubi. Partendo dall’analisi della nuova influenza diretta della scienza e
della tecnologia sui rapporti sociali, la Haraway, erige il cyborg come simbolo
dell’ indeterminatezza delle identità tradizionali che ora devono essere
costantemente rinegoziate.
Si parla sempre a partire da una situazione, da un corpo, da una condizione,
non c’è alcun punto di vista assoluto e non marcato. Il nostro sapere è sempre
situato. Le considerazioni di Donna Haraway risiedono all’interno del dibattito
femminista , ma partono consapevolezza di una condizione storicamente
determinata e per questo possono produrre metodologie efficaci per la
comprensione e l’intervento sulla realtà.
Il punto fondamentale del discorso della filosofa americana
è che i processi di ibridazione tecnica e sociale esonerano i soggetti dalla
necessità di riferirsi ad un “mito di fondazione”. Un vagheggiamento
dell’origine come ancoraggio per legittimare l' identità individuale e
collettiva e quindi anche le opposizioni categoriali al suo interno. A questo
mito non si sono riferiti solo il capitalismo e il patriarcato ma anche i loro
antagonisti nel corso della modernità, come il marxismo e il femminismo. Questi
si sono arenati nella teorizzazione di un soggetto rivoluzionario a partire da
una gerarchia di oppressioni, da una posizione latente di superiorità morale o
di innocenza. Il Cyborg , invece, non ha origine, è elemento processuale e
fluido. La sua immagine metaforica, trasmutata nella prassi reale, può
indicarci una via per uscire dalla prigione delle dicotomie:
“Questo è il sogno non di un linguaggio comune, ma di una
potente eteroglossia infedele. E’ l’immaginazione di una femminista invasata
che riesce a incutere paura nei circuiti dei supervalori della nuova destra.
Significa costruire e distruggere identità, relazioni, storie spaziali. Anche
se entrambe sono intrecciate nella danza a spirale, preferisco essere cyborg
che Dea”
Se nel fenomeno della violenza sulle donne è ancora presente
il germe concettuale di un rapporto oppressivo e giustificato da un mito
originario, la provocazione della Haraway, ci porta verso lo smantellamento di
questo mito, a favore di un ripensamento dei rapporti tra i generi e della
rinegoziazione continua della propria identità individuale e collettiva.
Articolo molto interessante, grazie!
RispondiEliminaNon conoscevo Haraway (come potevo? La mia ignoranza è talmente abissale...), ma approfondirò in quanto il discorso mi interessa molto.
Grazie ancora!
O.
Grazie Orlando!! Anche io non la conosco da molto, è una pensatrice che, soprattutto qui in europa, è difficile incontrare o sentir citata. Mi ci sono imbattutto più che altro per ricerche personali che poi ho portato un pò anche in università perchè le ritenevo molto interessanti. Poi una rivistina mi ha chiesto di fare un articolo per la giornata della violenza contro le donne e scegliere una donna che stimo e giustificare questa mia stima alla luce, ovviamente, della difesa delle donne. Io ho pensato a lei in quanto il suo pensiero è quanto di più libertario e tollerante ci sia. E poi, secondo me, capisce molto bene il fatto che fin che non ci liberiamo dai pregiudizi di genere, da quelle assurde dicotomie che creano oppressione e discriminazione gran parte delle persone soffriranno sempre il giudizio e la morale della classe in maggioranza di potere: che sia quella degli uomini, dei capitalisti, dei patriarchi, degli eterossessuali, non fa differenza. La violenza viene prima di tutto dal modo di pensare, ancor prima delle botte. Se cambiamo il nostro modo di pensare, e la Haraway con la sua provocazione del Cyborg ci da uno punto almeno per pensarci, allora potremo aprire un campo più aperto, dove i confini tenderanno a cadere, così come tanti dannosi pregiudizi e ipocrisie. Per il resto sono contento che tu abbia trovato l'articolo interessante e se ti capita di approfondire e vuoi dialogarne un pò, mi trovi sempre disponibile!;)
EliminaGrazie Orlando
Un abbraccio
Matteo