lunedì 27 gennaio 2014

Old Boy. La potenza universale di una storia essenziale









Propongo qui un breve articolo che ho scritto per www.artspecialday.com su Old Boy


Un uomo, dopo una notte di bagordi, viene rapito. Egli si risveglia in una stanza sconosciuta, senza sapere chi lo ha rinchiuso e perché lo ha fatto. Tutti i giorni, una botola nella porta della stanza si apre e riceve del cibo cinese. Questa routine continua per dieci anni fino a che, un giorno, senza saperne il motivo, viene narcotizzato e poi liberato. Per l’uomo è  l’inizio di una nuova vita, caratterizzata da un solo pensiero: vendicarsi di chi gli ha portato via tutto.
Quest’idea, tanto essenziale, quanto disturbante, è  Old Boy. Una vicenda universale, quasi un patrimonio immateriale, che ha saputo assumere molteplici forme nell’arco degli ultimi 18 anni.
Tutto inizia nel 1996, in Giappone, con il manga di Garon Tsuchiya e Nobuaki Mineghishi, concluso in patria nel’98 e attualmente in ristampa per la J-pop. In seguito, nel 2003, Old boy si fa conoscere al mondo intero grazie al capolavoro cinematografico di Park Chan Wook, ispirato al manga e osannato da Quentin Tarantino. Il film vince il Gran Premio della Giuria a Cannes 2004 e diventa immediatamente un cult. Nel 2013 arriviamo alla seconda interpretazione per il grande schermo ad opera di Spike Lee. Il film è uscito lo scorso 5 Dicembre in tutte le sale italiane.
Old boy è una storia di grande potenza. Essa ci prende per la gola e ci costringe a porci delle domande a partire da una situazione assurda, quasi kafkiana, che però, in qualche modo, sentiamo essere così terribilmente possibile.
Come si reagisce, allora, quando tutto ti è stato tolto senza un motivo? Cosa si cerca in un mondo sconosciuto dopo una vita di prigionia? Quanto odio si può accumulare per una vendetta contro qualcuno che nemmeno si conosce?
A queste questioni, i vari autori che ho citato, hanno cercato di rispondere ognuno a suo modo.
Il manga originale si presenta come un solido e raffinato thriller-noir. Il protagonista è come un samurai contemporaneo, freddo e calcolatore, che ha un unico obbiettivo: la vendetta. L’Old Boy di Tsuchiya mette  in scena il classico gioco “sadico”,  tipico di tanta narrativa nipponica, che tende a svilupparsi sulla psicologia dei personaggi, qui tratteggiati in maniera esemplare. Il disegno di Mineghishi è pulito e sicuro, quasi calligrafico. Ricorda il tratto essenziale del Naoki Urasawa di Monster (1994), un altro capolavoro del thriller made in Japan . Tutto, nonostante la violenza e la follia della situazione, appare controllato in maniera maniacale.



Al contrario dell’opera cartacea, il film di Park Chan Wook mette in scena un incubo allucinatorio, dove la violenza e la visceralità della reazione del protagonista sono gli elementi portanti. La vedetta è una corsa affannata attraverso un vortice di passioni malate, dove anche l’amore diventa cattivo e gli impulsi bestiali emergono prorompenti. Tutto è accompagnato da una colonna sonora che toglie il fiato e da uno stile di regia claustrofobico e asfissiante, che non esita ad indugiare sui particolari più cruenti. Un cinema che ti si conficca nel profondo dell’anima, come un martello piantato nel cuore.
Il remake di Spike Lee porta, invece, la vicenda negli Stati Uniti. L’atmosfera abbandona la brutalità dell’operazione di Chan Wook e il film assume un tono a metà tra thriller e noir , simile a quello del manga. Il tema della vendetta perde la sua pregnanza, lasciando maggior spazio al melodramma e ad un sorta di indagine interiore. Il tutto si intreccia con numerosi riferimenti ideologici e moralistici, rispetto ai quali Spike Lee non è di certo nuovo.  L’interpretazione di Lee perde, perciò, molta della tensione allucinata del primo film, ma anche della terribile freddezza del manga. A mio parere è un remake di cui non si sentiva davvero il bisogno e, nonostante gli sforzi del regista, la potenzialità dell’idea di Old Boy ne risulta fortemente mutilata. 



Il mio consiglio è quindi di lasciar perdere quest’ultimo remake e, se non lo avete ancora fatto, recuperare sia il manga, che il bel film di Park Chan Wook.
 Old Boy è, prima di tutto, una parabola che ci parla dei nostri istinti più basilari e ci mette alle strette davanti alla nostra natura. Raccontarla vuol dire prendersi coscienza della sua portata universale e il film coreano e il manga giapponese, pur mettendo in scena due modi di vedere la vendetta totalmente differenti, riescono a prendersi in pieno questa responsabilità.

6 commenti:

  1. Mai letto ne visto, nonostante ne avessi sentito parlare. Recupererò.

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  2. Magnifico!
    Uno dei pochi film che rende come il fumetto

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    1. Già! In realtà, a mio parere, il film di Park Chan Wook si distanzia un pò dall'aria del fumetto. E' molto più viscerale e passionale e per questo è davvero un'opera dall' impatto emotivo devastante.

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  3. Ricorda un po' The Cube!
    Interessante!

    Ma perché metti i capctha?
    Servono solo a bloccare i commenti!

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    1. Non li ho messi io i capctha. Sei il primo che me lo dice, vedrò se nelle opzioni riesco a toglierli ( non sapevo nemmeno che ci fossero)
      Cmq, si è interessante, qualche analogia con The Cube, almeno nell'aria che si respira in effetti c'è!;)
      Grazie per il commento Enrico, vedo cosa posso fare per togliere i captcha

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