“Percorrendo la bianca immensità di un inverno eterno e
ghiacciato, da un capo all’altro del pianeta, corre un treno che mai si
fermerà…è lo Snowpiercer dai mille e uno vagoni”
Snowpiercer è il film di fantascienza del momento. Della
pellicola del coreano Bong Joon –ho,
uscita il 27 febbraio nelle sale italiane, si sta davvero parlando un gran
bene. Sul web c’è chi l’ha paragonata, in quanto ad impatto tecnico e
contenutistico, ai grandi film di fantascienza degli ultimi decenni, come Blade Runner, Brazil, Matrix e Strange Days.
Per un amante della fantascienza come me, tutte le
recensioni e i commenti entusiastici su quest’opera sono stati come una boccata
d’aria fresca. Si grida al capolavoro e la mia voglia di vederlo è davvero alle
stelle, tuttavia, non l’ho ancora fatto. Quello che invece ho fatto è andare
all’origine di questo film e recuperare l’opera da cui è partito tutto. Già,
perché Snowpiercer, prima di diventare il film coreano più costoso di tutti i
tempi, era “solo” una breve serie di fumetti francese, Le transperceneige, scritta da Jaques Lob e Benjamin Legrand e
disegnata da Jean Marc Rochette. In occasione dell’imminente uscita del film,
Editoriale Cosmo ha deciso di portarla per la prima volta in Italia, facendola
uscire in tutte le edicole il 20 Febbraio in una edizione integrale di modesta
fattura.
Una nuova era glaciale è calata su tutto il globo terrestre.
“La morte bianca”, con le sue temperature inaffrontabili, ha decimato l’umanità
e i pochi superstiti sono costretti a vivere in un treno, lo Snowpiercer
appunto, che prosegue la sua corsa grazie ad un motore in grado di generare un
moto perpetuo e produrre il calore necessario alla sopravvivenza di tutti i
passeggeri. Lo Snowpiercer è l’ultima rocca forte della civiltà, è l’ultimo
barlume di società rimasta e, come ogni società, ha le sue gerarchie e le sue
disuguaglianze. I suoi vagoni, infatti, sono dei veri e propri “contenitori
sociali”: in fondo al treno i poveri, in testa i ricchi. Il treno va avanti
continuamente, trainato dalla sua locomotiva, “Santa Loco”, come la chiamano i
superstiti, ma più il tempo passa più le condizioni di vita si fanno precarie, soprattutto
quelle dei passeggeri delle ultime carrozze.
Da quello che ho potuto leggere del film e dalla breve
intervista a Rochette in fondo al
volume, la pellicola coreana parte proprio da questo incipit per presentare
la vicenda di Curtis, un uomo che, alla
testa delle classi meno agiate, da il via ad un moto rivoluzionario che
dovrebbe portare alla presa della testa del treno. Nel fumetto, invece, non c’è
nulla di tutto questo. Il protagonista , Proloff, è uomo solo che decide di
risalire il treno. Nessuna rivoluzione. Nessun idealismo. E’ un protagonista
totalmente disilluso che desidera solamente vedere cosa c’è nella locomotiva.
Il suo è un viaggio nichilista tra quel che rimane dell’umanità. Le tavole, con
il loro tratto realistico e minimale, esprimono costantemente un senso di
claustrofobia e, nonostante ci siano alcune scene action, l’atmosfera è sempre
fortemente statica. Non si ha la sensazione che possa davvero succedere
qualcosa. E’ un viaggio verso l’ignoto, ma verso un ignoto che è limitato. In
Snowpiercer non c’è l’avventura dell’epica né lo slancio romantico della
rivolta degli oppressi. Proloff non è Ulisse e nemmeno Spartaco. E’ solo un
uomo comune che non ha nessuno scopo oltre la sua autoconservazione, come la
stessa umanità, costretta ormai a vagare perpetuamente in tonto, chiusa in una
gigantesca scatola di metallo.
E alla fine del treno cosa c’è? Niente. Nulla. Solo un
semplice pannello di comando che ha bisogno qualcuno che lo sorvegli proprio
come in qualunque altro treno. Le colonne d’ercole della nuova umanità, la
porta del vagone di testa, non si affacciano più su un oceano infinito. Solo un
altro scarno spazio che necessita solamente di essere “abitato” e preservato.
Credo che la potenza visiva del cinema e la sua dinamicità
diano a questa storia un sapore diverso rispetto a quella raccontata nel
fumetto, probabilmente un po’ meno dimessa, piatta e disillusa. Probabilmente
tutta un’altra storia. L’opera di questi
tre francesi, invece, sembra davvero scolpita nel ghiaccio ed è fredda in tutti
i suoi aspetti: dalla narrazione, ai personaggi, agli ambienti. Il movimento
perenne del treno, più che una speranza, prende i connotati di un
traghettamento circolare verso la morte. La morte degli uomini, ma anche quella delle macchine,
incompatibili con l’eternità per costruzione. Come ci ricordano, infatti, le
ultime parole di Proloff, accasciato su una delle pareti della locomotiva di
uno Snowpiercer ormai vuoto: “Siamo tutti condannati! Io come gli altri! Presto
o tardi è solo questione di tempo! La macchina
avrà anche un motore a movimento perpetuo ma non è eterna! Arriverà il
giorno in cui si fermerà….eh stupida ti fermerai?”.
http://www.artspecialday.com/snowpiercer-un-fumetto-glaciale/#.UxXs94U6YxQ
Prima di vedere il film, pensavo proprio di recuperare l'opera.
RispondiEliminaDirei che fai bene Marco. Credo che film e fumetto siano molto diversi, quindi partire dall'opera originale fa sempre bene per vedere cosa è stato cambiato e aggiunto;)
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